Vito Calabrese: “La resilienza e la curiosità verso tutto mi hanno portato in salvo”
L’Arte è l’unico posto dove si può parlare liberamente del dolore. E Vito Calabrese, psicologo e autore del libro “Portare la vita in salvo” (edizioni la meridiana) ha attinto alla musica, alla cinematografia, alla letteratura, alla sua anima per dare voce al senso di perdita lasciato dalla morte di sua moglie, Paola Labriola, psichiatra uccisa a Bari tre anni fa da un tossicodipendente, in un centro di igiene mentale. Uccisa mentre lavorava in condizioni di scarsa sicurezza personale.
“Incubo riuscito. Dolore perfetto. Danza macabra”. A un “prima” fatto di piccoli gesti quotidiani, che scandiscono con tranquillizzante regolarità una vita serena, segue un “dopo” colmo di sgomento, senso di impotenza, in cui ti chiedi come possa tutto scorrere intorno a te, come sempre, quando, invece, la tua vita è stata devastata da una tragedia.
Ma è proprio nel costante e bizzarro fluire degli eventi che si cerca di trovare la risposta all’angoscioso interrogativo “Perché proprio a me?”.
La risposta è che la Vita è così, con momenti di gioia suprema e dolore più nero. Ed è per questo che bisogna portarla in salvo: è il dovere di chi resta per onorare chi non c’è più.
E di questo si è parlato ieri, giorno della Commemorazione dei Defunti, a Palazzo Caputi, nel corso di un incontro letterario targato “Evoluzioni Libri”, a cui hanno dato il prezioso contributo il reading dell’attore Paolo Gubello della Compagnia “La luna nel letto” e i pezzi dei musicisti dell’Associazione Apulia’s Musicainsieme del M° Pino Caldarola per onorare il piccolo Antonio Summo, scomparso nell’incidente ferroviario dello scorso dodici luglio. Un incontro particolarmente apprezzato dall’assessora alla Cultura, Monica Filograno per la quale “tutti, da ora in poi, guarderanno la vita con occhi nuovi”.
Intanto la psicologa Vincenza Fiore, collega di Paola Labriola, dà un suggerimento in tal senso quando, per designare la collettività, cita la metafora del tendone composto dalle storie di ogni persona e quando questo tessuto si lacera – a Bari con la morte di Paola, a Ruvo di Puglia con la morte di Antonino – i sentimenti impazziscono, c’è vuoto di senso, si è impreparati al dolore. Ma ecco che interviene la comunità che solleva, cura, guarisce, ricuce lo strappo con la solidarietà, la vicinanza, l’empatia. D’altronde il giorno dei funerali di Paola la sua casa somigliava a un villaggio sudamericano, dove questi eventi sono vissuti anche come una festa, con la “chicha”, liquore fermentato, perché in quei momenti tutti sentono di far parte di una comunità compatta nel combattere la Morte.
La foto di Paola che abbraccia una persona amica indica che il lutto non ha colpito solo Vito e i tre figli ma anche tutti coloro che gravitavano e gravitano intorno a loro. E l’abbraccio di queste persone, di tutta una comunità, lenisce il dolore.
Vito Calabrese si è salvato grazie alla curiosità verso gli altri e verso sé stesso e si è affidato alla scrittura per creare un libro che forse salverà la vita degli altri dal “giorno di dolore che ognuno ha”. Vito è resiliente, ha danzato col dolore, lo ha accolto ed è diventato migliore di prima, perché capace di vivere nelle difficoltà. Dote, grande forza, che, in diversa misura, è presente in ognuno.
Scrittura catartica, la sua, non solo perché dotato di cultura e capace di penetrare nei meandri della mente umana, ma perché è un uomo che ha sofferto come ha sofferto Clelia Marchi, anziana contadina autrice di “Il tuo nome sulla neve (gnanca na busia)” , un diario sulla vita matrimoniale, sulle difficoltà, scritto sulle lenzuola. E Clelia non era una donna molto colta. Segno che tutti possono far parlare il silenzio assordante del dolore, la “saudade”, la presenza dell’assenza. E tutti possono salvarsi.
Ha perdonato il carnefice, l’assassino di Paola? Difficile, eppure Vito si chiede se tale omicidio, anzi “femminicidio”, non sia la tragica conclusione di un susseguirsi di indifferenza da parte delle istituzioni e sottovalutazione nel considerare le richieste di maggiore vigilanza provenienti da quel centro di igiene mentale in via Tenente Casale 19. Quel tossicodipendente è mai stato “aiutato” a guarire? si chiede Vito.
Intanto dal Capo dello Stato Mattarella è stata conferita a Paola, in memoria, la Medaglia d’oro nella sanità pubblica mentre un centro antiviolenza è stato intitolato a Paola. Segni tangibili della sua “presenza” ed eredità.
Perché la morte, alla fine, non può vincere completamente. E “Portare la vita in salvo” lo dimostra.
“Esso ci colloca nel futuro, nella speranza” chiosa Elvira Zaccagnino, editrice de “La Meridiana”. E farlo leggere anche ai bambini e agli adolescenti diventa imperativo. Perché insegna che nonostante gli eventi più nefasti, si può ritornare a vivere.