VENTINOVE ANNI DOPO LA MORTE DI STASI, PAPA’ FRANCESCO: “CON LA SEMILIBERTA’ CONCESSA A SAVI, MIO FIGLIO E’ MORTO DUE VOLTE
Un lungo brivido ripercuote la schiena dei familiari di Cataldo Stasi, ventinove anni dopo quel maledetto 20 aprile 1988. Da quel momento, per i genitori del carabiniere ruvese, è come se il mondo si fosse fermato. La vita ha perso un pò del suo significato e si vive soprattutto per onorare la medaglia d’oro al valor civile e medaglia d’oro vittime del terrorismo. Giovani vittime che hanno donato la propria vita per difendere lo Stato.
Papà Francesco si commuove ogni qualvolta si affronta l’argomento. Dall’alto della sua età guarda il mondo muoversi in direzione opposta. La vita gli ha voltato le spalle, strappandogli uno dei fiori più belli della sua casa. Aveva 22 anni Cataldo quando ha dovuto fare i conti con il suo destino e da allora i suoi cari non si danno pace: “Non abbiamo compreso – ci racconta papà Francesco – il perché sia stato ucciso dalla famigerata banda della “Uno Bianca”. Rimane una delle pagine più buie della storia italiana. Troppi segreti, troppi silenzi: la verità è che a due genitori hanno strappato il proprio figlio senza alcuna colpa”.
Torna sulla vicenda della semilibertà concessa ad Alberto Savi: “Lo ricordiamo con quella faccia di “ghiaccio” senza espressione. A ogni processo fissava noi familiari senza versare un minimo di pentimento per quello che aveva fatto. Averlo riconsegnato alla libertà, seppur per poche ore ha significato vedere mio figlio morire per la seconda volta”.
Una lettera di perdono fu fatta recapitare alla famiglia Stasi a Castel Maggiore in una delle cerimonie commemorative in ricordo di Cataldo Stasi e Umberto Erriu, ma nessuno dei familiari ha mai voluto aprirla: “Non ci può essere perdono – singhiozza papà Francesco – dinnanzi a un gesto così crudele, come lo strappare la vita a un essere umano. Non si possono nutrire sentimenti di perdono o altro. La giustizia ha fatto il suo corso, ma ci sono ancora tanti aspetti da chiarire. Di certo dare la semilibertà a un pluriomicida, significa calpestare la dignità di coloro i quali, ventinove anni fa, hanno perso la vita. Me l’hanno ucciso due volte”. Le lacrime verso un figlio strappato dalle proprie braccia hanno il sopravvento.
I genitori di Cataldo Stasi parlano di quei momenti, dell’ultima telefonata, dell’attesa per il suo arrivo, rimasta tale. Vivono di ricordi, di foto in bianco e nero e si sono nutriti di giustizia per lunghi anni. Poi gli ergastoli per i tre fratelli Savi e la certezza che qualcuno abbia mancato di rispetto nei confronti delle ventiquattro vittime della “Uno Bianca”.
La famiglia Stasi da vent’anni presenzia alla commemorazione in onore di Cataldo Stasi e Umberto Erriu che si tiene a Castel Maggiore.
Cataldo è nervoso, ancora non sa che sta andando incontro al suo destino. Passa a salutare suo fratello Michele in questura a Bologna. Una famiglia dedita alla difesa dei valori su cui si fonda uno Stato. Cataldo sta per tornare a Ruvo, deve far conoscere ai suoi genitori la sua fidanzata. L’aria di festa si avverte o forse no, è qualcos’altro. Ha fatto cambio turno: un piccolo sacrificio lavorativo, per poi godersi ore di spensieratezza. Ma in realtà tutto questo è servito solo per passare a ritirare il conto dal proprio destino. A Castel Maggiore sembra essere una serata tranquilla. Alle 22.30, fanno un normale giro di perlustrazione. Nei pressi della stazione ferroviaria vedono una Fiat Uno Bianca, alla periferia di Castel Maggiore, e si avvicinano per chiedere i documenti. Ma neanche il tempo di fare la propria richiesta che i Savi aprono il fuoco, premendo il grilletto e colpendo a morte Umberto.
Cataldo, invece, risponde al fuoco, si difende dietro la propria volante ma gli sparano prima al pollice della mano destra e poi lo finiscono. Il carabiniere ruvese, 22enne, seppur privo di forze chiede rinforzi tramite radio, e poi si accascia al suolo.
Non hanno pietà: diranno che erano frustrati per il mancato colpo alla Coop. Un furgone in avaria Un testimone li vede fuggire su una Fiat Uno chiara: “Appena ho sentito il rumore degli spari, prima cinque dopo un breve intervallo, mi sono nascosto dietro un pulmino. Non li ho visti in faccia, ho scorto solo le sagome. Poi quando la macchina è fuggita, ho gridato e sono rientrato in casa per chiamare l’ambulanza”. A Ruvo il sindaco Camerino proclama il lutto cittadino, la città è sotto choc.
“La voce in radio ci fa tremare,
Che di coraggio ne abbiamo tanto
Ma qui diventa sempre più dura
Quando ci tocca di fare i conti
Con il coraggio della paura,
E questo è quel che succede adesso
Che poi se c’è una chiamata urgente se prende su
E ci si va lo stesso
E scusi tanto se non è niente
Minchia signor tenente”