Cultura

UNA SERATA CON LEONARDO DI GIOIA. LA RECENSIONE DI CARMELO GUIDO

Una serata d’estate, la buona musica, il talento di Leonardo Di Gioia e lo sfondo naturale offerto dalla Tenuta Tedone Consolini. Tutto questo ha ispirato Carmelo Guido che ha realizzato una recensione sulla serata che condividiamo con voi lettori.

Quarantuno Tasti! In una vita in cui le gioie rivaleggiano coi dolori, gli amori si sbriciolano come il pane stantio, le stelle fanno fatica anche a cadere e ogni alba è breve e vigliacca, vorresti risvegliarti dentro un sogno bello e che abbia la colonna sonora che ti piace. Allora risvegliarsi in quel sogno in cui le cose tornino nel loro giusto posto diventa una missione, che sfugga alle solite visioni effimere cui siamo adusi. E poiché nulla ci è impedito, facciamo in modo che il viaggio nei labirinti della fantasia riesca a raggiungere e cingere la realtà, farla propria per un tempo che non sia mai breve. Una sera, molto tempo prima di andare a letto e ancor prima che le condizioni necessarie per questa nuova idea di felicità si conclamassero, entrai nella dimensione desiderata servendomi di una base di lancio arcadica: un’ampia aia brecciosa di una tenuta murgiana e il comfort desueto di una balla di paglia. Davanti a me, un musicista con una fisarmonica prendeva posto sotto un trullo ampio come un “nón lá” vietnamita; dietro di me, gente sconosciuta sotto un cielo di stelle ancora spente catturava il frinire dei grilli unito al “chiù” dell’assiolo innamorato. Il musicista iniziò a suonare un pezzo mai udito prima; misurai che, nel sogno in cui volevo risvegliarmi, non sarei partito da solo: c’erano altre persone con me ad ascoltarlo, sedute comode sulle balle di paglia. Egli era scalzo come un neonato; coi piedi sulla ghiaia, si univa allo spirito della terra da cui assorbiva per intero il fluido magico dell’estemporaneità e dell’eclettismo. Fermò la sua musica dopo due pezzi intensi, la fisarmonica si declinò al breve riposo. Disse di chiamarsi Leonardo Di Gioia, Leo solo per noi. Ripartì nel suo viaggio musicale conducendoci verso l’infinito e oltre, vagando tra ritmi mediterranei contaminati dal flamenco, nel jazz fuso dalle espressioni caraibiche di Galliano, fino ad arrivare al samba e alla bossa nova, care a Jobim e De Moraes. Per un’ora e un quarto abbiamo viaggiato dentro un sogno dal quale però non volevamo più risvegliarci e nel quale nessuno avrebbe più voluto ordinare le storie della propria vita. Leo ha svestito i panni dell’uomo e ha indossato (e ciò accade da dodici anni) quelli di chi può restituire il garbo musicale in chi l’ha temporaneamente perduto, ovvero le sonorità elegiache in coloro i quali hanno considerato la fisarmonica il complesso congegno che ha sposato solo tradizioni popolari. Dobbiamo, direi obbligatoriamente, ricominciare ad accompagnarlo nei suoi viaggi. Percorreremo con Leo nuovi itinerari magici ed eterei, magari trasportati dalla sua lisergica “Horizons”, paradigma sonoro pop di un’esistenza che si muove libera sulle note di quarantuno tasti.

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