Tra nuvole e balconi, chi è Quarantana sospesa ad un filo?
Articolo di Antonello Olivieri tratto da “Il Rubastino”.
In tempo di Quaresima nei quartieri più antichi della città, se si cammina a testa in su, si possono ammirare delle caratteristiche pupattole di pezza sospese su un filo annodato fra due balconi.
Patrimonio inestimabile della nostra cultura sono le tradizioni popolari, che continuano a resistere nel tempo e ai repentini cambiamenti di una società frenetica e distratta.
Legata da sempre saldamente alle proprie radici popolari, la città di Ruvo di Puglia continua a far rivivere i ricordi di antiche ritualità attraverso la voce dei propri anziani, che tramandano oralmente gli usi e i costumi che caratterizzavano un tempo le festività più importanti dell’anno.
Con il tempo sono nati, grazie all’interesse suscitato nelle nuove generazioni, laboratori atti al recupero delle tradizioni popolari, una fra tutte quella della Quarantana.
I mass media, gli articoli di giornale e i social negli ultimi anni sono stati sempre più importanti per la conoscenza di tradizioni locali e lontane e possono essere considerati “responsabili” del ritorno di antiche costumanze che erano cadute nell’oblio. Tra queste, spicca la “quarantana”.
Sulle origini del fantoccio di pezza raffigurante la Quaresima sono sorti studi, ma anche mostre, grazie in particolar modo ad appassionati e cultori che condividono sentimenti e ricerca per queste tradizioni.
La suggestiva tradizione delle pupattole quaresimali è tutt’ora oggetto di studio soprattutto in tutta l’Italia meridionale che seppure con punti di contatto o di divergenza testimonia la comune matrice contadina dei riti quaresimali non solo pugliesi. Il fatto stesso che certe antiche ritualità popolari suscitino l’interesse della comunità scientifica è il segnale di una presa di coscienza non solamente del valore culturale, ma anche del potenziale a livello turistico. Tale potenziale, ove ben sfruttato, potrebbe permettere a tante località di rinascere e magari di essere maggiormente supportati.
Perché non se ne perda il ricordo, ma soprattutto perché la tradizione si conservi per tanto altro tempo ancora la Pro Loco di Ruvo di Puglia è stata leader – già qualche anno fa – nella pubblicazione di un opuscolo epigrafato “La Quarantana a Ruvo di Puglia” che attraverso un percorso fotografico e di racconti documenta la storia del fantoccio di stoffa pallido e macilento, sospeso ad un filo in attesa di diventare spettacolo la domenica di Pasqua.
Promuovere la stampa, anche solo di un opuscolo, aggiunge un altro significativo tassello alla ricostruzione storica di eventi, di dinamiche, sociali ed economiche, che hanno contribuito alla caratterizzazione del dna della città di Ruvo di Puglia.
A Ruvo di Puglia dal Mercoledì delle Ceneri fino al Sabato Santo, la presenza della Quarantana, fantoccio dalle sembianze femminili alta da un metro e mezzo fino a grandezza naturale, appesa, ci ricorda che “dovremmo” astenerci dal mangiare carne per quaranta giorni, ovvero per tutto il periodo della Quaresima: era questa l’usanza dei nostri avi più rispettosi della tradizione cattolica e probabilmente anche più salutisti.
La Quaresima è il periodo di privazione opposto all’abbondanza e gli eccessi del Carnevale. Quaranta giorni di astinenza dai cibi grassi, carni, uova, latte e derivati per celebrare la traversata del deserto che Gesù riuscì a compiere in quaranta giorni, nutrendosi di sole erbe.
Una connotazione simbolica, un percorso di purificazione preparatorio alla Pasqua che nell’immaginazione popolare si trasforma in una vecchietta vestita di stracci e trasandata.
la Quarantana, moglie del Carnevale morto il martedì Grasso è affranta dal dolore. La ritroviamo sospesa tra nuvole e balconi con abito intero oppure gonna, camicetta, calze fino all’inguine, scialle, scarpe e borsetta, tutto di colore nero, ricordano ai passanti che è giunta la Quaresima con le sue restrizioni e proibizioni. È raffigurata nell’atto di filare con il fuso, ricordando un po’ le Moire o le parche della tradizione greco-latina, dee che stabilivano il destino degli uomini. La prima, Clòto, tesseva il filo della vita; la seconda Làchesi, dispensava i destini, assegnandone uno ad ogni individuo e stabilendone anche la durata. La terza l’inesorabile Àtropo, tagliava il filo della vita al momento stabilito.
Il filo rappresenta il trascorrere del tempo, dei quaranta giorni di penitenza e digiuno dalle carni, un tempo osservati con maggiore rigore. Tra le mani anche un’arancia che annuncia la fine dell’inverno, le sette penne di gallina rappresentanti le altrettante settimane di Quaresima che precedono la Pasqua, l’aringa infine è il simbolo dell’astinenza poiché in passato, nel periodo quaresimale, sostituiva carne, grassi, uova e latticini.
La pupattola ruvese si distingue soprattutto per la resa scenografica che traduce nella realtà i concetti allegorici della tradizione ruvese.
Il giorno di Pasqua la vittoria del Cristo sulla Morte è platealmente comunicata al popolo con la distruzione del fantoccio che avviene tra lampi di luci, rumori assordanti e il fumo più o meno multicolore dei fuochi d’artificio. La leggenda vuole che dal fuoco che ardeva la Quarantana i contadini traevano gli auspici della buona annata: il fuoco rappresentava la vittoria dell’abbondanza sulla povertà e il rigenerarsi della natura dopo l’inverno.
L’ultima Quarantana ad essere arsa è quella di Piazza Bovio, preceduta da una messa solenne sotto lo sguardo bonario del Cristo Risorto portato in processione.
Riscoprire questa antica tradizione popolare ha il significato di riappropriarsi di un passato non troppo lontano e di farlo rivivere non solo nella memoria dei nostri padri, ma anche per rivitalizzare le vie del centro della città come luoghi privilegiati di rappresentazione della memoria storica.
Antonello Olivieri