Sì o No non è solo un tratto di matita
Tratto da “Luce e Vita” a cura dell’avvocato Domenico Facchini.
Il 20 e 21 settembre 2020 gli italiani sono chiamati a votare per il referendum costituzionale (già previsto per marzo scorso e rinviato per la nota emergenza sanitaria in corso) sulla riduzione del numero dei parlamentari; alcuni nella stessa circostanza voteranno anche per le elezioni regionali e comunali. Questo il quesito referendario: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?».
Tale riforma costituzionale veniva già approvata dal Parlamento. Successivamente l’iniziativa di un gruppo di senatori l’ha arrestata con il ricorso ai cittadini, come previsto dall’art. 138 della Costituzione secondo il quale le leggi di revisione costituzionale «… sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera»; si sarebbe evitato il referendum se la legge fosse «stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».
La riforma costituzionale in questione prevede di ridurre i seggi alla Camera dei Deputati da 630 a 400, al Senato della Repubblica da 315 a 200. Si stabilisce la riduzione dei parlamentari eletti dagli italiani all’estero: i deputati da 12 a 8 e i senatori da 6 a 4 (cfr. art. 56 e art. 57 Cost.). Per i senatori a vita (art. 59 Cost.): è previsto che il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque. Il referendum in questione è di tipo confermativo: con il SI si approva, con il NO si respinge. Non è richiesto il quorum come il referendum abrogativo: il risultato è sempre valido ed è preso in considerazione indipendentemente dal numero dei votanti.
Le tesi del SI. La revisione costituzionale si propone di favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini. Il taglio dei componenti renderebbe il Parlamento più efficiente, perfezionerebbe il rapporto tra cittadini e istituzioni ed eliminerebbe la frammentazione dei gruppi parlamentari, che a volte non rappresentano le principali forze politiche del Paese. L’attuale numero di deputati e senatori si fonda sull’idea che il Parlamento sia, in sostanza, esclusivo nella produzione normativa, ma poiché tale assetto monopolistico si è modificato la riduzione è una naturale conseguenza che renderà automaticamente il sistema più funzionale. Si tratta di una occasione per rinnovare la macchina statale e non c’è (sempre a dire dei sostenitori del SI) alcun rischio per la democrazia.
La riduzione dei parlamentari è solo un punto di partenza, non di arrivo: seguiranno altre riforme necessarie a migliorare il funzionamento dello Stato. Se passa il SI si metterà inevitabilmente mano alla legge elettorale per ridefinire i collegi coerentemente al numero inferiore dei parlamentari eletti. Con la vittoria del SI ci sarà una diminuzione (seppure notoriamente limitata) di spesa per le casse statali.
Le tesi del NO. Se passasse la revisione in oggetto l’effetto principalmente temuto è la riduzione di rappresentatività, anche per non aver esteso le riforme ad altri meccanismi istituzionali, in quanto si toccano equilibri delicati che potranno rendere più difficoltosa l’esistenza di un rapporto personale diretto tra cittadini ed eletti, facilitando così il controllo dei partiti sui loro rappresentanti. Se approvata, la modifica imporrà la ridefinizione della legge e delle circoscrizioni elettorali; le regioni piccole (per es. Molise, Valle d’Aosta…) potrebbero trovarsi a poter eleggere solo rappresentanti dei partiti di maggioranza. La circoscrizione estero perderebbe ancora di più la propria rappresentanza e i piccoli partiti verrebbero maggiormente penalizzati. Con la vittoria del SI aumenterebbe il rischio di modifiche costituzionali approvate pure senza referendum dei cittadini, essendo più facile il superamento della maggioranza richiesta. La riduzione dei parlamentari potrà accentuare talune tendenze negative già presenti, come il rafforzamento del potere esecutivo ai danni del potere legislativo. Per i sostenitori del NO respingere questa riforma vuol dire riaffermare il ruolo centrale dei parlamentari come rappresentanti dei cittadini e in continuo contatto con gli elettori. Quanto poi alla prospettata semplificazione delle procedure, i sostenitori del NO ritengono che quando i parlamentari, nel corso dei dibattiti, espongono le loro opinioni e magari quelle di cittadini con i quali possono tenersi in contatto, questo è un vantaggio per la democrazia e per la qualità della legge, non una complicazione che esige di essere semplificata. Con riguardo al segnalato vantaggio economico per lo Stato si oppone che con tale riduzione ci sarà un risparmio soltanto dello 0,007 per cento della spesa pubblica: ossia, si stima che il risparmio pubblico sarà l’equivalente di circa un caffè (95 centesimi) all’anno per ciascun italiano.
A questo punto, ci sia consentita una considerazione sull’approccio alla imminente consultazione dei cittadini, certamente tra le più significative della storia repubblicana. L’elemento più importante della nostra Carta costituzionale è la spinta unitaria dei costituenti attorno al valore “sacro” della persona umana: l’individuo finalmente inteso come fine primario dell’ordinamento giuridico e sociale. La Costituzione repubblicana traccia una visione della persona non più statica ma dinamica poiché titolare di diritti e di doveri, diretta allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale.
La Costituzione non si limita ad elencare i diritti ma fornisce indicazioni per la loro effettività e per la loro attuazione. Al suo interno ci sono valori intrinseci, non sempre esplicitamente dichiarati ma chiaramente desumibili: la persona, il lavoro, la dignità, la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, l’etica, la legalità; non dimenticando, in ogni caso, che tra i valori devono annoverarsi i doveri e tra di essi emergono principalmente la solidarietà e la partecipazione attiva. Con la dichiarazione che l’Italia è una “Repubblica democratica” (art. 1 Cost.) si è manifestata una scelta: la democrazia esprime la partecipazione e il legame stretto tra elettore ed eletto. L’Italia è una democrazia parlamentare (che vuol dire strutturata attorno ad un Parlamento che esercita il potere legislativo) ma non esclude, e anzi chiaramente prevede, pure forme di partecipazione diretta dei cittadini (l’iniziativa popolare delle leggi, il referendum e così via). La democrazia è l’humus necessario e indispensabile della convivenza civile. Di qui il significato fondamentale della partecipazione attiva. Il cittadino deve esercitare la sovranità popolare partecipando alle elezioni (quali che siano le sue scelte) e deve chiedere conto ai suoi “delegati” di ciò che fanno nell’interesse comune, deve far sentire la propria voce, partecipare al dibattito pubblico sulle questioni di fondo, indignarsi per le cose che non vanno, svolgere azioni concrete di controllo sul bene comune. Questa è la cittadinanza attiva che, alla fine, è la maggior garanzia del rispetto e dell’attuazione di tutti i valori costituzionali. Il distacco, l’indifferenza e la superficialità nell’affrontare le questioni non appartengono alla democrazia e non la qualificano; non valorizzano la persona e non ne esaltano la dignità. L’invito che implicitamente ci rivolge la nostra Carta costituzionale è di essere cittadini partecipi e consapevoli.
Ciascuno deve essere all’altezza delle proprie responsabilità e fare la scelta più significativa per l’intera comunità. L’esortazione, sommessa ma fortemente sentita, è allora quella di entrare sempre (pure adesso) nella cabina elettorale dopo aver profondamente compreso, meditato e riflettuto. Non si tratta di un semplice tratto di matita, è in gioco il nostro futuro prima di un SI o di un NO.
Domenico Facchini, avvocato