#ruvodipuglia: la parola alla panchina per dire BASTA!
Rosso: sangue, violenza.
Ed è proprio una panchina di colore rosso a risaltare sul profilo Instagram “itei.tannoia” con l’hashtag #ruvodipuglia. Sul post si legge: “La parola alla panchina…” . Si tratta di un’iniziativa degli alunni dell’I.T.E.T “Padre A.M. Tannoia” di Ruvo di Puglia, in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, che hanno pitturato una panchina di colore rosso con la scritta “La parola alla panchina. Non permettere che la tua DIGNITA’ si sporchi di rossa violenza disumana” affianco al numero telefonico 1522, che corrisponde al numero antiviolenza.
Il 25 novembre ricorre la Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, istituita il 17 dicembre 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La data non è casuale: il 25 novembre del 1960, infatti, vennero uccise le sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana.
Le tre donne, considerate ancora oggi delle rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo, il 25 novembre del 1960 si recarono in carcere per far visita ai loro mariti. Vennero però bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare, che le portarono in un luogo nascosto dove vennero torturate, stuprate, massacrate a colpi di bastone e strangolate a bordo della loro auto.
Si tratta di una data che, di fatto, vuole celebrare le numerose attività a sostegno delle tante donne, vittime di violenza fisica e psicologica.
Agghiaccianti i dati, seppur parziali, del 2019: sono più di 90 le donne uccise in Italia da un familiare.
Sono invece certi quelli del 2018: sono state 142, lo scorso anno, le vittime di femminicidio (+0,7%), 119 in famiglia (+6,3%). Questo racconta l’annuale rapporto Eures: Femminicidio e violenza di genere in Italia. Aumentano anche le denunce per violenza sessuale (+5,4%), stalking (+4,4%) e maltrattamenti in famiglia (+11,7%).
Di fatto non si parla in generale di omicidi di donne, ma di “femminicidi” nel suo reale significato, ovvero quello fissato nel 1992 da Diana Russell nel libro “Femicide: The Politics of woman killing” e assunto dalla riflessione femminista successiva:
“Una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna proprio perché donna. Quando parliamo di femminicidio quindi non stiamo semplicemente indicando che è morta una donna, ma che quella donna è morta per mano di un uomo in un contesto sociale che permette e avalla la violenza degli uomini contro le donne.”
Secondo recenti dati Istat, nel 2017, una donna su mille si è rivolta a un centro antiviolenza (43.467 donne cioè 15,5 ogni 10 mila) e due su tre di loro, 29 mila, sono state prese in carico, cioè hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza.
Tante, però, sono le donne che non hanno il coraggio e la forza di denunciare.
Una giornata, dunque, per non dimenticare le numerose donne vittime di violenza.
Non si può e non si deve morire per amore o solo perché si è donna. La violenza va fermata sin dai primi segnali che il più delle volte sfociano in tragedia.