Cultura

“Rimani dove c'è la tua storia”

La pubblicazione della traduzione (a cura di Mariateresa Cecalupo) dell’articolo apparso su JazzThing nella rubrica “Eupean Jazz Legend” dove si parla di Pino Minafra, ideatore e direttore del Talos Festival di Ruvo di Puglia
Pino Minafra vive in campagna, non lontano dal capoluogo pugliese, Bari, tra la sua città natale
Ruvo di Puglia e Terlizzi. Le strade di campagna qui sono numerate e a volte, soprattutto per chi
non è del posto come noi, ci si può confondere: per questo motivo Pino Minafra ci viene a prendere
dalla stazione. L’accoglienza è calorosa, per la maggior parte del tempo parla in inglese, ma a volte
capita di sentire anche qualche parola in tedesco, come quando scopre i nostri panini al formaggio:
“This is assolutamente verboten” (Questo è assolutamente vietato). Infatti sua moglie sta
preparando il pranzo.
Dopo circa 15 minuti raggiungiamo una villa a due piani, color rosso ruggine in stile liberty
dell’inizio del secolo scorso. “Ho comprato questa casa a pochissimo prezzo. Era in stato di rovina.
Bella però, vero? Bravo.” Questo “bravo” lo ascolteremo spesso nelle prossime ore; a volte come
fine della discussione, a volte come complimento, soprattutto quando non riesce a trovare la parola
giusta in inglese. Però “bravo” lo dice anche quando ci mostra orgoglioso la zona, sconfinata di
ulivi, e il suo orto vicino alla terrazza. “Questa terra è forte” dice strofinando il terriccio fra le dita.
“Il vento arriva arriva dall’Africa e porta l’aria calda. Noi non siamo persone speciali, ma abbiamo
un clima speciale, che ha permesso a molte generazioni di lavorare, di mangiare, di svilupparsi. A
volte sono molto stanco e vorrei mollare la musica, il Festival Talos, e tanti altri progetti.
Le idee sono meravigliose, il lavoro è altrettanto meraviglioso, ma l’attuazione di tali idee è davvero
difficile. Le energie positive in questa terra, la nostra terra, ce le dobbiamo contendere perché ci
sono tanti problemi: la mafia, i soldi, lo spreco. Dall’altra parte però abbiamo l’olio, il vino, molta
storia e pian piano la gente comincia a riconoscere che anche noi abbiamo delle qualità artistiche.”
Il pranzo è pronto. La moglie di Pino Minafra, Margherita Porfido, una clavicembalista classica,
porta in tavola la pasta al pomodoro, una favolosa frittata, i broccoli, e infine il salmone. “Vi piace?
Questo è il mio mondo, io amo le mie radici. Anche nella musica. Io sono un italiano e non posso
suonare come un tedesco, un americano, uno svedese, o un inglese. Io posso imitare, le influenze
sono importanti, ma bisogna metabolizzarle.
Io voglio trovare la mia voce. Il jazz per me è la
possibilità di esprimere la propria storia, la propria identità. Questa è la mia missione. E’ una parola
grossa, molto grossa come ‘James Bond’!” Sua moglie ride “E’ proprio un Pinocchio!”. Anche
Minafra ride e poi ci racconta, un po’ scherzando, un po’ seriamente, le origini del suo cognome che
ha a che fare con la provenienza dei suoi antenati: “min” sta per “da” e “Afra” per “Africa”. “Io
sono nato nel 1951 a Ruvo di Puglia. Mio padre era un tenore e avevo 8 fratelli. Noi non avevamo
la televisione e non potevamo assistere dal vivo a questa musica. Io, però, avevo una piccola radio e
ascoltavo sempre la tromba, così d’istinto. Non importava se si trattava di musica classica o pop. Ma
quando ho ascoltato per la prima volta il jazz mi sono detto: ‘questa musica è quella che mi piace di
più’”.
Pino Minafra, durante la sua formazione classica al Conservatorio di Bari, ha avuto la possibilità di
beneficiare del maestro Nino Rota, conosciuto come compositore di alcune colonne sonore dei film
di Fellini, e del famosissimo motivo de “Il padrino” di Coppola. “Una grande personalità, un uomo
molto corretto, un gentleman e molto, molto, molto ricco. Ha anche aiutato molti studenti che non
potevano permettersi di comprarsi uno strumento. Era un poeta, un uomo colto. Io ho avuto da lui il
permesso di suonare il jazz per la prima volta al conservatorio. Il jazz era veramente proibito perché
da trombettista ci si spaccava le labbra. Nino ci disse: ‘Se suonate il jazz, lo dovete fare seriamente’.
Allora decidemmo di suonare “One Bass Hit” di Dizzy Gillespies. Io sono stato un pioniere in
molte situazioni. Credo sia il mio spirito. Io infrango i limiti, ma il prezzo da pagare è molto alto.”
Dopo il conservatorio voleva suonare alla base militare americana per due settimane, ma alla fine è
rimasto fuori per ben due anni: dalla Germania al Libano, dall’Iran poi ha fatto ritorno a Roma.
Oggi Pino Minafra insegna al Conservatorio di Bari, dove lui stesso ha studiato. “Ma io insegno
solo tromba classica. Io ho provato lentamente, con l’ultimo direttore, ad aprire il programma al
jazz. Il direttore si è rivolto al Ministero e per questo ora abbiamo a Bari, e in tutta Italia, un
dipartimento di jazz. Io ho buttato la benzina che ha fatto appiccare il fuoco. Per motivi personali,
però, insegno musica classica, perché non ho più le energie per insegnare jazz al conservatorio. Io
ho cercato di aprire le porte al jazz, ma non ho le forze per tenere queste porte aperte. La cosa strana
è che io insegno solo repertorio classico, ma il 90% dei miei studenti suona il jazz, anche se io non
ne parlo mai. Forse io, non intenzionalmente, tramando qualcosa. 90%… Bravo!”
La lotta di cui egli spesso parla, è una lotta per l’identità, il riconoscimento e l’apprezzamento del
jazz italiano. “Questo è il motivo per cui io faccio la mia musica. La si può trovare non bella, non
interessante, ma è la mia. Miles è Miles, Armstrong è Armstrong, io li posso imitare, ma poi
abbiamo una fotocopia. Questo è il motivo per cui io combatto questa guerra, perché di una guerra
si tratta. Per questo organizzo questo festival, e per questo 25 anni fa ho fondato la Italian Instabile
Orchestra, e per questo ho la mia banda. Quando qui arrivano gli americani, mi guardano dalla testa
ai piedi, come se io non avessi una storia; ma io ce l’ho una storia e ho qualcosa da dire! Quando io
ero molto giovane il mio modello era Misha Mengelberg. Io ho realizzato un progetto con Misha e
un’orchestra sinfonica di qui, e inoltre ho fondato un Trio con Ernst Reijseger e ho suonato anche
con Han Bennink e Willem Breuker. Molti musicisti europei hanno cominciato a ricercare la nostra
identità. Il jazz è un approccio universale alla musica. Non è corretto dire: ‘questo è jazz, questo no’.
Ma naturalmente questa è la mia opinione, ce ne sono tante.”
Oltre alla Italian Instabile Orchestra, con cui si sono esibiti Enrico Rava, Gianluigi Trovesi ed
addirittura Cecil Taylor, la sua passione è legata, negli ultimi anni, soprattutto alla banda. Questa
tradizione, tipicamente italiana, che suona sia le arie d’opera che pezzi popolari, rivive, grazie a
Pino Minafra, non solo durante il “Talos Festival Bande” di Ruvo di Puglia, ma dal 1997 anche in
diversi CD prodotti dalla enja. “Negli ultimi anni sto andando sempre di più in direzione della
banda. E’ una tradizione importante nel meridione, ma nessuno se ne cura. Due giorni fa abbiamo
suonato a Fasano con la MinAfric Orchestra e il gruppo canoro delle Faraualla. Questo concerto
avrebbe potuto trasmetterti la mia idea di Mediterraneo, jazz, musica, meglio di quanto possano fare
le mie parole. Quest’anno vorrei incidere un nuovo CD con la MinAfric Orchestra e le Faraualla; e
anche uno con il duo di mio figlio Livio con Louis Moholo; infine anche con la band Rebel Flames
– un quintetto tra cui suonano anche Louis Moholo e Keith Tippett. Questo è il jazz. Punto. Almeno
per me.” Infine ci delizia con questa sua perla di saggezza. “Sai, ci sono alcuni che corrono dei
rischi, altri invece cercano di far qualcosa per aver successo. Ma se tu sei in contatto con la tua
unicità, non diventerai mai un robot che imita qualcun altro. Con questo voglio anche dire che
bisogna rimanere lì dove c’è la propria storia. Non è importante essere dove gli altri lavorano, ma
dove è la tua anima.”
Traduzione di Mariateresa Cecalupo

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