RENZINO E IL FORNO DAGLI ANTICHI SAPORI
Di padre in figlio, di generazione in generazione: le tradizioni non muoiono mai, specie quelle legate alla terra natia, al focolare domestico, al lavoro e in particolare ai piaceri della tavola, di cui si è soliti custodire i metodi di preparazione nonché gli antichi sapori che i palati più fini sanno tuttora apprezzare.
Nella Ruvo del ‘900, il risveglio era caratterizzato non solo dall’invitante aroma di caffè che pervadeva quasi tutte le abitazioni, ma anche dall’irresistibile profumo del pane che inebriava le strade principali del paese ormai illuminate dai timidi raggi solari. Così, un uomo robusto dagli occhi vispi si dedicava pazientemente alla sua attività lavorando senza sosta, per tutta la giornata, soprattutto nel periodo delle feste natalizie e pasquali.
Si chiamava Renzino, diminutivo di Lorenzo, e svolgeva il mestiere di fornaio ereditato da suo padre, presso un locale di sua proprietà sito in via G. Gesmundo, 28. La calma e la gentilezza erano le sue doti principali che, unite alla sua estrema disponibilità, facevano di lui una persona molto ricercata per l’accuratezza dimostrata nella sua professione. Gli facevano compagnia due amorevoli gattini, utilizzati da lui come deterrente per i topi. Si avvaleva dell’aiuto di sua moglie Francesca e di giovani garzoni, tra i quali anche suo figlio Vito, che lo supportavano volentieri durante i ritmi incessanti di lavoro proprio per il suo temperamento mite e amichevole. Lo affiancavano sia nel ritiro sia nella sistemazione di forme di pane, tegami e deliziose tortiere piene di dolci su lunghe tavole di legno, pronte per essere infornate e riportate ai proprietari.
In paese lo raggiungevano parole di stima e ammirazione, con le quali lo si ricorda affettuosamente ancora oggi. Tante sono le istantanee del passato che ritraggono un Renzino fiero, nell’atto di mostrare all’osservatore i frutti derivanti dalle sue fatiche quotidiane. Alle stesse fotografie, in bianco e nero o dai colori tenui, si aggiungono aneddoti curiosi sulla sua persona che testimoniano la cortesia e la sensibilità manifestata nei confronti della clientela.
Intorno agli anni ’50 del secolo scorso, la Settimana Santa era contraddistinta dalla preparazione di dolci tipici locali come zuccherose specialità di mandorla, taralli, scarcelle e ciambelle. Queste ultime venivano ricoperte da una glassa bianca comunemente denominata “gileppo”. Per l’occasione, Renzino aveva esortato suo figlio Vito affinché andasse a prelevare da una signora le leccornie appena impastate che attendevano di assumere compattezza in forno. Obbediente agli ordini di suo padre, Vito si recò dalla donna per ritirare le prelibatezze ma non ebbe nessuna risposta probabilmente perché la stessa si era addormentata stremata dal lavoro. L’indomani la signora si recò al forno per chiedere il motivo del mancato ritiro. Tuttavia Renzino e suo figlio ribatterono educatamente che non avevano dimenticato e la donna capì che l’errore era stato il suo, essendosi assopita nell’attesa.
Col tempo, purtroppo, i prodotti industriali soppiantarono l’impiego del forno. L’attività di Renzino si concluse a metà degli anni ’80, quando il suo forno fu demolito. Al suo posto rimane quell’amore e quello spirito di abnegazione che figli e nipoti si impegnano a raccontare a noi contemporanei.