RECENSIONE TERZA SERATA DEL TALOS FESTIVAL INTERNATIONAL
« La vita è un lavoro che si fa in piedi ». Con una frase di Peppino Schipo, attore barese perennemente perseguitato dai creditori per i debiti contratti in nome di e per l’arte, il giornalista Ugo Sbisà , guida all’ascolto dei concerti della terza serata del Talos Festival International, elogia il lavoro di Pino Minafra per la sua creatura, per questo “laboratorio di musica”, vanto di Ruvo. Quindi la vita è sacrificio, lavoro, dedizione e Pino Minafra vive per il Talos Festival, vive per la musica.
E il trombettista ruvese ringrazia tutti, per l’appoggio che gli è stato offerto affinché si potesse realizzare questa edizione. La riconoscenza va soprattutto al pubblico che, con la musica, “è stato una delle cose più belle” di questa edizione e all’associazione culturale “La Capagrossa Coworking” che ha ideato la strategia di crowdfunding #SOStieni Talos2015, campagna di raccolta fondi ideata da coloro che credono nella salvaguardia del Festival , parte integrante del patrimonio culturale ruvese da ventidue anni.
Ugo Sbisà, poi, introduce Franco d’Andrea, pianista di fama internazionale.
“Un suo concerto è una lezione di pianismo” dichiara il critico musicale della Gazzetta del Mezzogiorno.
Franco D’Andrea è un virtuoso del pianoforte. Ha raccolto l’eredità americana, accosta sapientemente Thelonious Monk e Béla Bartók, dinanzi alla musica ha un approccio intellettuale ed emotivo.
E quando D’ Andrea, un distinto signore dai modi impeccabili, si siede al pianoforte, avviene qualcosa.
Il 10 Ottobre 2015, il pubblico del Talos Festival dimentica di essere al Palacolombo perché viene trasportato in una dimensione di purezza ed eleganza. Le luci puntate solo sul Maestro, dal pianoforte parte una melodia limpida e raffinata. Le dita del pianista scivolano sulla tastiera, accarezzano i tasti, traendone una musica che diventa oro puro per le orecchie.
Nella seconda parte della serata, la ricerca, la melodia e la follia, leit motiv del Talos, raggiungono l’apoteosi con la Minafrìc Orchestra e le Faraualla. Essi proporranno un repertorio confluito nel progetto discografico “Minafrìc” per Sud Music Records e distribuito da Egea.
Sbisà, quando introduce gli artisti, dichiara di aver creato il termine “minafroamericano”, riferendosi alla musica del trombettista ruvese, che è una commistione di jazz e suoni del Sud perché Pino Minafra è orgoglioso della sua terra ed è consapevole che solo recuperando le radici si capisce dove andare, quale direzione prendere.
Ma ora comincia il concerto. Palco al buio. Si sente il suono greve di un tamburo. Ad uno a uno e a distanza di tempo l’uno dall’altro, entrano i musicisti che fingono di provare, accordare ma in realtà stanno già “eseguendo” con suoni, vibrati e, man mano che l’ orchestra si va componendo, scaturisce un turbinio vivace e confuso di suoni, voci. La confusione cresce fino al punto in cui non confluisce in un brano jazz eseguito sotto la conduction (direzione d’orchestra caratterizzata da improvvisazione jazz) di Livio Minafra, autore del brano.
L’assolo del trombettista Marco Sannini diventa un duetto con il “folletto” Carlo Actis Dato, sassofonista torinese amico del Talos da lungo tempo. Livio, Marco e Carlo litigano tra loro in una divertente pantomima. Nel frattempo Livio va su e giù per il palco, interagendo coi musicisti, insinuandosi tra loro.
Il secondo brano è “Maccaroni” ed è dedicato agli emigranti italiani che nei primi anni del Novecento partirono per gli Stati Uniti, il Brasile, l’Argentina alla ricerca di un lavoro ed esportarono parte delle proprie tradizioni. Infatti l’incipit è sulle note di un tango ( queste sono le impressioni di chi scrive )che si trasforma in una melodia martellante che vuole simboleggiare il rumore dei passi di chi lascia la propria terra verso terre lontane. Poi , su una melodia che riecheggia vagamente Ennio Morricone ( omaggio al compositore delle colonne sonore di celebri film tra cui La leggenda del pianista sull’oceano di Giuseppe Tornatore, incentrato sulle vicende di un pianista dell’orchestra di una nave, che tra i passeggeri conta molti italiani emigranti in America in cerca di fortuna).
La melodia si trasforma a poco a poco in una tarantella jazz sulla quale si innesta l’assolo del sassofonista Nicola Pisani a cui si aggiunge Carlo Actis Dato. In seguito si instaura un dialogo con ritmi diversi tra il contrabbasso di Gadaleta e il pianoforte di Livio Minafra. Su una melodia sempre uguale, segnata dalle maracas, il contrabbasso e le percussioni (con mirabili Vincenzo Mazzone e Giuseppe Tria), si innesta un assolo di tromba che si trasforma in un terzetto dello stesso strumento. Poi tutta l’orchestra partecipa e sulle note di una musica vivace, Pino Minafra afferra il microfono e comincia a “cantare” una gragnola di parole senza senso. E’ un crescendo di suoni che poi si spegne di colpo.
Il terzo brano è “La girandola”, composto da Livio Minafra. E’ una ninna nanna che comincia con una melodia dolce e cantilenante al pianoforte, eseguita da Livio e su questa nenia incessante si inseriscono gli altri strumenti che, a un certo punto, somigliano alla voce di una madre che culla il proprio figlio per farlo addormentare. Sempre come sottofondo la melodia di Livio, la musica diventa veloce, vivace fino a diventare una “girandola” di suoni che si interrompe bruscamente.
Ora è il momento del quartetto canoro femminile, le Faraualla ( Serena Fortebraccio, Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone e Terry Vallarella) che Pino Minafra presenta come “ la quintessenza della vocalità femminile mediterranea” perché “ Il Mediterraneo senza la donna non è niente”.
Abiti bianchi lunghi, le splendide voci intonano “Mascjare” ,composto da Gabriella Schiavone e dedicato al mondo arcaico delle magie popolari. Questo canto è accompagnato dall’orchestra con uno stupendo assolo del sassofonista Roberto Ottaviano.
Il secondo brano eseguito dalle Faraualla è un commovente “Stabat Mater”, cantato a cappella.
E’ la volta di un brano popolare apotropaico ( che allontana i malefici) dove è maggiormente evidente la commistione tra simbolismi cristiani e pagani. Mentre cantano fanno il segno di croce sulla fronte, sulla bocca e sul petto affinchè “ lu demonio non mi abbrazza” e “Sangue de Cristu, cuvriscimi tutta”, oppure si lanciano in anatemi “ Mascja alla persona che fa cativia”.
Dopo l’esibizione delle Faraualla che ritorneranno in seguito, Pino Minafra parla di quando partecipò con la Banda al “Donaueschinger Musiktage” a Donaueshingen (Germania), un festival di musica contemporanea che non ammette la melodia. Eppure ci fu il miracolo: la banda, la tradizione melodica italiana affascinarono molti tanto che nacque una collaborazione con la Sudwestfunk di Baden Baden. Questo fornisce l’occasione a Minafra per dichiarare che la banda è un patrimonio da salvaguardare perché è il riflesso della nostra anima più autentica.
E giunge il momento del famosissimo megafono di Pino Minafra ne “La danza del grillo”. Il grillo… la nostra coscienza. Voce graffiante, sottile, suoni inarticolati sottolineati dal ritmo del contrabbasso a cui si aggiungono gli altri strumenti fino a creare una musica che riecheggia melodie dell’ Estremo Oriente. Infatti il pezzo si conclude col suono del gong.
“Fabula Fabis” è il pezzo eseguito con l’orchestra e le Faraualla sotto la conduction di Nicola Pisani. Emergono l’assolo di Pino Minafra alla tromba e i suoni inarticolati che le Faraualla eseguono sotto la direzione del Maestro Pisani.
L’ultimo brano e “Aurel”. E’ introdotto da Livio Minafra, che mostra a tutti una sirena, utilizzata dai musicisti nella loro follia creativa. Sirena che attira tutti perché “la musica strega”.
Ma c’è una follia cupa, oscurantista. E’ la follia di chi ha fatto l’attentato ad Ankara, seminando morte e distruzione in un colorato e gioioso corteo di pacifisti che marciavano contro l’escalation di violenza del governo turco nei confronti del Pkk. E per questo motivo, Livio non farà suonare la sirena, in segno di rispetto.
Il brano è dedicato a un ragazzo albanese giunto in Italia con una bagnarola (suo padre è morto durante il viaggio) ed è un brano vivace che celebra la vita. Il brano è eseguito sotto la sua conduction, a cui alterna momenti al pianoforte.
Il concerto termina con la presentazione dei componenti la Minafrìc Orchestra. Per ogni componente, Pino Minafra ha una parola scherzosa ma allo stesso tempo ne esalta lo spessore professionale e umano.
L’ultimo regalo che l’Orchestra e le Faraualla fanno è un bis in cui Pino Minafra ringrazia tutti, soprattutto il pubblico e poi si abbandona a una conduction nella quale salta , invita la gente a battere ritmicamente le mani, a fare gesti deliziosamente licenziosi, a partecipare insomma a questa bellissima “follia” collettiva.
Veronique Fracchiolla
Stagista c/o ruvesi.it – Double P Communication