Cultura

Recensione di “A modo mio”: «Leonardo, umile e di talento»

Venerdì scorso, a Villa Fenicia, si è svolto “A modo mio”, il concerto dedicato ai dieci anni di percorso musicale del fisarmonicista Leonardo Di Gioia.

Le note create da Di Gioia; la conversazione con Silia Eden, redattrice di Ruvesi.it; il live painting di Marina Fabiano sono stati il centro di un evento di beneficenza, curato da “Un Mondo di Bene 2.0”, Sintagma e Masterpiece, a favore del progetto “CAPACITY BUILDING CENTER” in Zambia, gestito da Sr. MARIA Mazzone, missionaria in Africa dal 1988.

Una serata che è rimasta impressa nel cuore di un critico musicale il quale, con la preghiera di non pubblicare il proprio nome, ha inviato una recensione affinchè fosse pubblicata.

Erano almeno un paio d’anni che ne sentivo parlare, di Leonardo Di Gioia e del suo straordinario talento, ma non avevo mai avuto modo di ascoltarlo in uno dei suoi concerti. E non immaginavo nemmeno che si trattasse di un ragazzo poco più che trentenne, di una simpatia e umiltà disarmante, quasi da scambiarlo per uno del pubblico o per uno dello staff di villa Fenicia, dove appunto si è tenuto il suo concerto dal titolo “A modo mio” con annessa intervista per i suoi dieci anni di carriera.

Dopo un breve discorso sulle finalità di questa serata (beneficenza e solidarietà) da parte di una giovanissima e affascinante presentatrice, viene presentato il Maestro Leonardo Di Gioia che, lasciandosi precedere da Marina Fabiano, artista pittrice dal tratto contemporaneo e disinvolto, raggiunge il suo stage e la sua fisarmonica; già vedere un ragazzo suonare questo strumento fa incuriosire – e non di poco  – chiunque. Ecco: imbraccia la fisarmonica, silenzio, un’ultima sistemata alle cinghie e ai registri, uno sguardo all’attenzione del pubblico, tutto pronto, si inizia.

Pochissime note all’inizio, dal sapore vagamente latino, sud americano, con una sola mano, poi lentamente qualche accento, qualche accordo, qualche fraseggio veloce che pian piano cresce in un ritmo vorticoso e ti prende; sì, ti prende l’anima e tutti i sensi finchè ti rendi conto che i tuoi piedi si muovono a ritmo insieme agli altri spettatori e in quel momento Leonardo inizia a divertirsi. Già, perchè la sua musica è un divertimento per lui e per chi lo ascolta, un viaggio che speri non finisca mai, un alternarsi di stili, fraseggi e virtuosismi che si mescolano alla poetica e all’interpretazione come non ho mai ascoltato prima d’ora. Specialmente da una sola fisarmonica. “Ma con chi avrà mai studiato questo qui?”

Finito il primo brano, inizia a raccontarsi, guidato dalle domande e dagli occhi incuriositi della presentatrice. Assurdo: la sua musica, le sue esperienze e il suo metodo di studio è tutta opera sua, non ha studiato in Conservatorio e il suo stile è frutto di una sua analisi e ricerca personale. È tutto “a modo suo”… non ha mai detto di essere nel giusto ma afferma di fare quello che gli piace, e si sente e si vede da come parla e da come più di cento persone approvano ogni sua singola parola e ogni sua singola nota. Riprende a suonare; e noi viaggiamo di nuovo, dai ritmi concitati della tarantella si passa alla passione del flamenco, alla morbidezza del samba e all’allegria del forrò, al virtuosismo della musette francese e poi alla fine, sorridendo dietro la fisarmonica, suona quello che dal primo momento tutti chiedono: un tango di Astor Piazzolla.

In quel brano c’è tutto il genio di Leonardo Di Gioia, tutta la sua anima, tutta la sua vita; a occhi chiusi vola sulla tastiera, la sfiora con virtuosismi indescrivibili, l’accarezza, la picchia, ora delicato, ora violento, ora poetico, ora ostinato. Non c’è tregua fino al suono di una singola nota acuta che rimane in tutta la sala. È finito; no, non ancora. Il mantice riprende a vibrare, dapprima lentamente, poi sempre più veloce. Sembra un orchestra di cento archi; il suono cresce, si fa più rotondo, definito e continua a crescere, crescere fino ad un esplosione che ci riporta nel tema più famoso del compositore argentino, Libertango, e anche qui, Leonardo interpreta, infiorisce ed elabora “a modo suo” rendendo il brano ancor più intrigante.

Finito il concerto non mi resta che fargli i complimenti e stringergli la mano. In quel momento tutta la sua semplicità e genuinità si fa sentire: «Ti prego, non chiamarmi Maestro! Non lo sono… Non ho manco una licenza di solfeggio e ho ancora molto da imparare…»; cerca nel suo zaino, mi regala il suo disco dal nome “Horizons” e mi racconta qualche aneddoto. Si avvicina altra gente. Troppa. Sono così emozionato che dimentico di salutarlo. Penso a come un musicista del suo calibro sia una persona così umile e gentile e quasi mi pento per aver accettato il suo disco in cambio di niente. Però ora lo conosco; ho la sua pagina Facebook; posso seguirlo; e non vedo l’ora di riascoltarlo perché la sua musica è come la sua persona: vera e sincera.

Grazie Leonardo. Ad maiora…».

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