Quel sottile filo rosso che lega silenziosamente Natalia Abbascià a Franco Battiato
Cantava l’amore e la rivoluzione con quel ritmo leggiadro e malinconico che vagheggiava scenari mistici ed estemporanei, regalando a chi lo ascoltava un nonsoché di misteriosa fatalità. Fin dagli albori della sua carriera abbiamo imparato a conoscerlo per il suo temperamento da intellettuale raffinato, scevro da banali onte conformistiche, sempre propenso a varcare nuovi orizzonti concettuali, ma mai disposto a perdere quel centro di gravità permanente che lo rendesse irremovibile nelle sue idee.
Perché Franco Battiato difendeva le anime sensibili, le proteggeva dalle paure, dalle ipocondrie, dai turbamenti, dagli inganni del loro tempo. Quella Cura che il cantante siciliano riservava alle creature più fragili è diventata poi un inno alla bellezza e all’amore custodito e ‘tramandato’ di generazione in generazione.
A due giorni dalla sua scomparsa, la giovane violinista ruvese Natalia Abbascià ricorda il grande cantautore con una nota di rammarico per non aver mai avuto la possibilità di conoscerlo. Eppure di artisti ne ha incontrati tanti durante il suo percorso musicale, cominciato dalla tenera età, quando si dilettava a cantare da solista in parrocchia o nelle recite scolastiche. Si innamora della dolce melodia del violino suonato dall’amica Mariateresa Amenduni, con la quale entra a far parte dell’orchestra di flauti della scuola media Giovanni XXIII, diretta dal maestro Giuseppe Caldarola.
In attesa della muta vocale, Natalia decide di intraprendere lo studio violino frequentando privatamente le lezioni dell’insegnante Antonella Cazzolla. Fa la spola tra il conservatorio di Bari e Foggia, fino all’incontro decisivo con il maestro Alessandro Perpich presso l’accademia La Stravaganza di Corato, che ha poi deciso di seguire a Ferrara, dove si è laureata sia al triennio jazz sia al biennio di violino classico. Una carriera tutta in ascesa, fatta di duro lavoro ed enormi sacrifici ma ripagata da altrettante soddisfazioni, prestigiosi riconoscimenti e coronata dal discreto successo del suo gruppo musicale Le Scat Noir.
Proprio con il suo complesso, Natalia ha rivisitato il capolavoro di Battiato “Centro di gravità permanente” del 1981, tratto dall’album “La voce del padrone”, che all’epoca riscosse una miriade di consensi non solo dal ceto colto ma anche da una fascia di popolazione più giovane, ansiosa di crescere e di aprirsi al mondo.
E sulla scia di questo sentire universale la violinista ruvese ci confida di non amare molto il genere cantautorale, ad eccezione delle composizioni del maestro siciliano. Di lui adora quell’inesauribile desiderio di ricerca e sperimentazione che lo accompagna fin dagli esordi, il suo lessico forbito e mai ordinario adatto a fornire vari spunti di riflessione, e soprattutto quei meravigliosi dischi con l’orchestra, pieni di creazioni un po’sui generis intessute di retorica e bello stile.
Ma le parole scorrono in fretta come il ritmo frenetico della vita quotidiana. Allora lasciamo Natalia ai suoi impegni lavorativi, certi di aver omaggiato nel nostro piccolo uno dei mostri sacri della musica italiana, che senza dubbio continuerà ad essere apprezzato, pur con qualche sforzo maggiore, da una compagine di pubblico sempre più ampia.
Non sarà un addio bensì un arrivederci. A te, Franco… la comunità ruvese ti saluta così!