PILLOLE RUVESI n.7: LA RICETTA DEL VIN COTTO SPIEGATA DAL TECNOLOGO ALIMENTARE VINCENZO CANTATORE
Continua la rubrica Pillole Ruvesi che, in occasione di questo Natale, si veste di una nuova versione: quella gastronomica, con il racconto di ricette tipiche della tradizione ruvese. Dopo la ricetta du ssmidd della scorsa settimana, questa nuova pillola è dedicata all’ingrediente primo della tradizione natalizia popolare: il vin cotto. A spiegarlo è chi, sicuramente, ne è più esperto e cioè Vincenzo Cantatore, tecnologo alimentare e responsabile qualità del laboratorio di trasformazione dell’Azienda Agricola Cantatore di Ruvo.
“Il vin cotto o mosto cotto è un prodotto della tradizione del nostro territorio, associato a tante nostre ricette. Ne esistono diverse variabili, a seconda della materia prima utilizzata. I più famosi sino quello di mosto d’uva e quello di fichi, anche se l’originale è il primo.
Analizziamo quindi come si produce il vino cotto di uva.
La materia prima di partenza è il succo o mosto d’uva. Prodotto che a settembre, dalle nostre parti, si riesce facilmente a reperire. Se non si riuscisse a reperire direttamente il mosto, basta recuperare dei grappoli di uva, lavarli e pigiarli fino ad ottenere il succo. È consigliabile filtrare il succo con un setaccio prima di iniziare la lavorazione. Questa operazione ci permetterà di eliminare impurità come residui di buccia, semi e altro particolato.
A questo punto bisogna versare il succo in una casseruola e iniziare il processo di cottura che, a seconda delle quantità di prodotto con cui si sta lavorando, può durare anche 6/7 ore. La cottura del mosto serve ad allontanare acqua dal prodotto, concentrando il suo contenuto in zucchero. Durante la cottura è bene, se possibile, mescolare periodicamente il prodotto per uniformare la temperatura della massa ed evitare che ci sia parte di prodotto a contatto continuo con le pareti della pentola. Questo potrebbe infatti causare una eccessiva sollecitazione del prodotto che potrebbe acquistare sentori di bruciato e carbonizzato.
Veniamo al dunque però…quando fermiamo la cottura?
Nella tradizione sono due gli indicatori che vengono utilizzati per stoppare il prodotto. La schiuma e la croce.
La schiuma si forma quando il prodotto è già molto concentrato, infatti il suo volume in pentola si è ridotto notevolmente. La piccola quantità residua di acqua dà il via ad un’ultima evaporazione violenta che porta con sé anche parte del prodotto. Mia nonna diceva che alla formazione della schiuma si deve stoppare il prodotto. Ora, io alla nonna voglio bene, però aspettare la schiuma può comportare il rischio di bruciature del prodotto con sentori di carbonizzato. Il mio consiglio è quello di fermarsi prima, come? Controllando periodicamente il prodotto quando ormai inizia ad apparire denso e sottoporlo al “segno della croce”: qualche goccia di prodotto viene versata in un piatto o su una superficie liscia e asciutta e, una volta raffreddato, con il dito si realizza una croce. La consistenza del prodotto sarà data dal fatto che i lembi della croce si richiudano o meno, e dalla velocità con cui lo fanno. Attraverso questo metodo tradizionale potete decidere a casa di stoppare il prodotto a vostro piacimento, stoppando il processo prima che il prodotto si bruci.
Ma…in laboratorio??
Dico la verità, io la croce la faccio. Però… non solo quella. Abbiamo detto che il processo di cottura allontana acqua dal mosto aumentando la concentrazione di zucchero. Considerate che un buon mosto di uva ha una concentrazione di zucchero del 16-18%. Esiste uno strumento, il rifrattometro, che ci consente di determinare la concentrazione dello zucchero in un prodotto. Si tratta di un piccolo cannocchiale sul quale, ad una estremità, vi è l’oculare da cui si osserva e, all’altra, un piccolo sportellino in cui si aggiunge qualche goccia del prodotto in analisi. Guardando all’interno dell’oculare lo strumento ci dice pressappoco la concentrazione in zucchero della matrice analizzata.
Quindi che si fa?
Periodicamente (oltre a fare la croce, ci mancherebbe) rilevo con il rifrattometro la concentrazione dello zucchero nel mosto in cottura, che pian piano aumenta. Mi fermo quando, generalmente, la concentrazione in zucchero di un buon vino cotto si aggira tra 65 e 70%. Questo valore corrisponde con un buon sapore e una buona consistenza di prodotto. In realtà, 65/70% è un valore fondamentale anche per la sicurezza del prodotto.
Il vino cotto generalmente dopo la cottura viene filtrato a caldo per eliminare ulteriori impurità e imbottigliato. Non è necessario pastorizzare il prodotto nei vasetti, cosa che invece è necessaria per tanti altri prodotti, come ad esempio la salsa di pomodoro. Perché questo? Perché in un prodotto con il 65/70% di zucchero e, tra l’altro cotto per tante ore, non riesce a crescere nessun microrganismo patogeno e alterante. L’elevata concentrazione di zucchero crea un ambiente stressante per questi microrganismi. Tant’è che le bottiglie del vin cotto vengono conservate a temperatura ambiente anche dopo un loro primo utilizzo. Ecco perché è importante eliminare la giusta quantità di acqua dal prodotto, raggiungendo una concentrazione di zucchero che ci dia stabilità del prodotto.
Il botulino può essere un problema per il vino cotto?
Generalmente no. Sia per la concentrazione dello zucchero sia perché il vin cotto è un prodotto acido e, in condizioni di acidità, il botulino non riesce a crescere.
Ora, voi in casa non avete un rifrattometro ma generalmente quando il prodotto raggiunge una buona densità, con i lembi della croce immobili, la concentrazione zuccherina è quella giusta. Ultimo spunto. Quanto tempo posso conservare il vin cotto?
Parliamo di un prodotto estremamente stabile che può essere conservato per anni…voi però fate le cartellate buone e vedrete che non avanzerà niente”.
Vincenzo Cantatore