Cultura

OGGI SI INAUGURA “SI PARVA LICET”

Si inaugura oggi la mostra di pittura e scultura “Si parva licet” il piccolo formato a Natale a cura di Azzella, Basile, Cortese, Covella, De Leo, De Pascalis, De Sario B. e P., Guastamacchia, Laurelli, Morelli, Nardi, Petrizzelli, Rutigliano F. e L., Scarongella, Sciancalepore, Serafino, Sparapano, Stragapede, Terlizzi, Tullo.

La mostra si terrà presso la Studio d’Arte in via De Cristoforis, 34. Dalle ore 18.00 alle ore 21.00 gli orari di visita. All’interno anche il Presepe Artistico a cura di Keramos di Enza Vernice.

Ecco la presentazione del curatore Pasquale Pisani.

L’antica espressione virgiliana (Georgiche, Libro IV, v. 176) che fornisce un titolo nobile alla Mostra, viene utilizzata ampiamente ancor’oggi da utenti più o meno
colti e significa letteralmente «se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi»; ci è sembrata subito opportuna per disegnare i contorni di una iniziativa artistica degna di considerazione. Il grande poeta latino si riferisce al paragone che intende porre tra il frenetico adoperarsi delle api e l’eroica opera dei Titani che preparano baleno, folgore e tuono per Zeus, con ciò volendo rappresentare l’inappropriatezza di un paragone falsato dalla sproporzione tra le grandi opere e le piccole cose. Forse però, oggi, lo stesso Virgilio si ricrederebbe se sapesse dell’allarme lanciato dagli ambientalisti di ogni parte del pianeta relativo alla minaccia nei confronti di questo minuscolo insetto dalla cui sopravvivenza dipende la produzione di gran parte del cibo che arriva sulle nostre tavole. Il riferimento ad un altro grande classico, in esergo (Plinio), anticipa tuttavia la nostra convinzione che piccolo è bello! In particolare è lecito paragonare un’opera di piccolo formato ad un capolavoro di grandi dimensioni? Può per esempio sussistere un legittimo confronto tra una graziosa Tanagrina fittile ed un monumentale esemplare marmoreo fidiaco? Una medaglia bronzea del Pisanello può competere con un grande affresco michelangiolesco? Potremmo ovviamente scandagliare l’intero excursus della Storia dell’Arte ma le conclusioni ci porterebbero inevitabilmente a condividere il commento del curatore di una mostra sul piccolo formato “Macro in catalogo” tenutasi alla galleria Spaziottagoni di Roma nel 2010: “Benché vaste superfici e ampi volumi abbiano i connotati per avvolgerci fisicamente e quindi le potenzialità per coinvolgerci in modo più complessivo, di per sé le misure poco hanno a che vedere con la grandezza dell’arte ed ancor meno con la sua “visibilità (Giuseppe Salerno)”. Si può infatti dubitare della rappresentatività per l’Arte Preistorica che la piccolissima Venere di Willendorf possiede, rispetto al monumentale circolo di megaliti di Stonehenge? O della straordinaria modernità della minuscola Rotonda Palmieri di Giovanni Fattori che nulla ha da invidiare, in tema di sperimentazione, alla grandi Ninfee di Claude Monet alla Orangerie? Ogni periodo storico- artistico conferma a ben vedere questa intrigante dicotomia, come se volutamente gli artisti si proponessero di riverberare, a loro modo, il confronto tra infinitamente grande e infinitamente piccolo caro alle Scienze sin dal XVII secolo per merito, in entrambi le dimensioni, di Galileo.
La poesia delle “piccole cose” (Guido Corazzini) acquista in ambito letterario una certa risonanza in Italia con il Crepuscolarismo: il termine fu coniato dal critico
G.A.Borgese nel 1910 che lo adoperò metaforicamente per indicare una condizione di graduale estinzione di un’Ars poetica, caratterizzata da toni espressivi tenui e spenti, adottata da poeti che non aspiravano nemmeno ad attingere vette emozionali. L’anti-dannunzianesimo infatti dei poeti crepuscolari, si configura programmaticamente come rifiuto di qualsiasi tentazione eroica o sublime: Perché tu mi dici: poeta? io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta? (S.Corazzini-Desolazione del povero poeta sentimentale, 1906)
La rinuncia all’eroismo, insita nella poetica delle piccole cose, tuttavia, ci induce a riflettere sul significato del termine Sublime, affrancato dall’eroico. Con anticipo rispetto a Kant, il filosofo inglese E.Burke nel suo saggio “Ricerca sull’origine dell’idea di Sublime e di Bello”, già indicava che il Sublime ha che fare con la dismisura, che le opere sublimi sono sproporzionate, fuori da una misura ordinaria. Kant, a sua volta, nella “Critica del giudizio”, differenzia il Bello dal Sublime: Il senso del Bello nasce dalla mente dell’uomo perchè in noi vi è una struttura mentale che contiene il senso della proporzione, dell’armonia, dell’eleganza e della libertà e che, riscontrando nell’oggetto queste caratteristiche, definiamo Bello, oggettivamente, perché il giudizio estetico viene condiviso dagli uomini. Il Sublime invece immediatamente ti coinvolge, ti travolge; la nostra ragione è attratta dalle sproporzioni e giudica l’oggetto siffatto Sublime. L’uomo entra in rapporto con qualcosa che va al di là di ogni proporzione, qualcosa che per le sue dimensioni lo sconvolge. Il Sublime lascia spesso senza parole. Kant inoltre differenzia il concetto di Sublime in due diverse connotazioni: sublime Matematico e Dinamico. Se quest’ultimo nasce difronte alla manifestazioni tumultuose e potenti della natura, perché l’uomo viene attratto dalla forza della natura, quello Matematico ha a che fare con le dimensioni e provoca in noi una particolare forma di piacere che seguita l’iniziale sensazione di smarrimento: esempio ne è la sproporzione del Gigantismo (la torre, Il grattacielo, l’uomo più alto del mondo, ecc.) ama anche, all’opposto, la sproporzione dell’estremamente piccolo (il nano, gli insetti, le nanotecnologie, il quark e il plank). L’opera di piccolo formato, quindi, come icastica rappresentazione del Sublime Matematico? Se porre l’accento esclusivamente sulle sproporzioni delle opere di piccolo formato non convince completamente circa la loro Sublimità, allora ci piace ricordare quanto il grande filosofo illuminista, con la “Critica del Giudizio” apra clamorosamente al nuovo ismo, il Romanticismo. Cosa vi è di Sublime nell’uomo? La possibilità di essere “morale” (l’uomo può essere titanico nell’essere
morale). Il Sublime della legge morale. E’ la Creatività, l’Esemplarità, l’Irripetibilità che contraddistinguono il genio artistico, indipendentemente dalla dimensione dell’opera (come più volte è stato ribadito). E’ la ricerca del fine delle cose, del fine della vita umana, che contraddistingue l’opera d’arte; ed anche se il fine non c’è, l’artista stimola in noi questa indagine. La ricerca del fine è il nostro modo di stare al mondo. Il fine è la legge morale, il sommo bene che ci da la felicità: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.

Il curatore Pasquale Pisani

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