Mèste Totò: “u stagnaridde” di Ruvo tra storia e ricordi incancellabili
Molti ruvesi lo ricordano con l’appellativo di “mèste Totò” e riconoscono ancora, passeggiando per le vie del centro antico, quella che un tempo era una piccola bottega sita in una stradina ai tempi molto bazzicata. Questa è la storia di Salvatore Sergio, classe 1907, settimo di undici figli, ultimo stagnino di Ruvo di Puglia.
Alcuni anni fa la sua figura è stata persino inserita tra i personaggi del presepe vivente organizzato dalla confraternita di San Rocco, come parte della tradizione ruvese e personaggio ancora capace di generare ricordi in chi lo ha conosciuto anche solo passando dalla sua bottega all’ingresso di Via Barese, nei pressi della Torre dell’Orologio. Una vita dedicata al suo particolare lavoro che gli ha permesso di costruire una storia straordinaria fino alla veneranda età di 102 anni.
U stagnòre era considerato il parente povero del ramaio. Se quest’ultimo fabbricava le pentole in rame, lo stagnino le riparava soltanto. Solitamente ci si recava dallo stagnino “pe fàsse stagnò la tièlle” (trad.: “per farsi riparare /stagnare il tegame”) – specifica Michele D’Ingeo in un suo articolo pubblicato sul “Rubastino” nel 2014 dedicato proprio a mèste Totò.
«Il suo era un lavoro, ma anche una passione e un passatempo che ha portato avanti fin dalla tenera età di sette anni, quando ha iniziato ad apprendere il mestiere del padre Raffaele nella bottega di famiglia», racconta la nipote Eliana. Di andare a scuola infatti non ne voleva proprio sapere tanto che preferiva trascorrere il proprio tempo a divertirsi con i suoi amici al Pantano. Già durante l’infanzia, dunque, cominciò ad apprendere il mestiere presso la bottega paterna insieme ai fratelli Ernesto e Guglielmo, rimanendovi anche dopo la morte di questi ultimi. Ha dedicato la sua vita al lavoro dello stagnino e con gli anni si è “specializzato” in idraulica divenendo addirittura il primo mastro a Ruvo ad installare impianti idraulici domestici della città già prima degli anni Venti, dapprima con il padre e poi per conto proprio.
Non si è mai trattato di un semplice mestiere. Mèste Totò ha trasmesso il suo sapere e la sua maestria alle generazioni più giovani che, grazie ai suoi insegnamenti, hanno poi intrapreso la sua stessa professione di idraulico (Guastamacchia, Di Vittorio ecc.). Ha condotto sempre una vita semplice dividendosi tra la bottega e la famiglia. Semplice come il principale materiale che utilizzava nel suo lavoro, lo stagno che, unito ad anni di esperienza e a tanta pazienza propria del suo carattere, riparava gli oggetti più disparati, dalle pentole agli utensili da cucina alle canne fumarie alle pompe utilizzate dai contadini in campagna, in un’epoca in cui la cultura del risparmio e del riciclo e riutilizzo era la norma e non una scelta di nicchia e secondaria al semplice “usa e getta” come accade nei nostri giorni.
Della “storicità” della sua figura per la città di Ruvo ne è testimone anche la sua partecipazione nel 1998 ad una puntata della trasmissione condotta da Luca Sardella e Janira Majello “La vecchia Fattoria” dedicata proprio alla città di Ruvo di Puglia. Insieme ad altri rappresentanti delle peculiarità che rendono speciale Ruvo (Cascione nella panetteria, Berardi nella pasticceria, Bucci nel canto popolare), Salvatore, all’età di 91 anni, ha mostrato alle telecamere i principali attrezzi del suo mestiere e le pratiche basilari della sua arte manuale ricordando, non senza un po’ di nostalgia, i tempi nei quali gli oggetti presenti nelle case erano per lo più manufatti artigiani ognuno con le proprie peculiarità e non semplici oggetti uguali tra loro creati in serie in fabbrica.
“U stagnaridde” di Ruvo di Puglia, come molti lo chiamano ancora, ha certamente lasciato un segno nella storia cittadina. Un ricordo per chi lo ha conosciuto e una testimonianza forse nuova per le ultime generazioni che purtroppo non potranno più passeggiare per le vie del centro e imbattersi nelle piccole botteghe, chiacchierare con gli artigiani e imparare da loro quell’arte dai toni originali pronta ad ispirare mestieri incomparabili.
Il quarto appuntamento con la rubrica “Ruvesi” si affaccia al passato con il racconto di un personaggio che ancora oggi risveglia le memorie. Una vita che ha segnato la crescita cittadina testimoniando come i sogni e una passione innata possano portare alla costruzione di un mestiere e di una vita vissuta a pieno.
Si ringrazia la famiglia Rutigliani per la concessione delle foto e in particolare la nipote Eliana che, con gioia e affetto nei confronti di un nonno esemplare, ha donato la sua testimonianza per la realizzazione dell’articolo.
“u stagnaridde” non era Meste Toto ma un altro stagnaro che aveva la bottega in via Cattedrale. Meste Toto, non so bene l’altezza ma senz’altro era più alto di m. 1,70, era il fratello di mio zio meste Ernesto che aveva la bottega all’inizio di via Oberdan.