MAX DI GIOIA VINCE IL PREMIO LETTERARIO CITTA’ DI LIVORNO: “DEDICATO A PIETRO STRAGAPEDE”
Dopo la menzione speciale per la poesia “Sangue e Lacrima” selezionata da Alessandro Quasimodo per Aletti Editore nel 2021, Max Di Gioia sale sul podio del Premio Letterario Nazionale Città di Livorno. Un premio prestigioso questo, nato nel 2007 per volontà dei soci della Associazione culturale Pietro Napoli, al fine di promuovere, sviluppare ed incentivare l’arte della scrittura sia in forma poetica che in forma narrativa.
Nella splendida struttura della Fortezza Vecchia di Livorno, con il Patrocinio della Regione Toscana, insieme alla Provincia di Livorno ed al Comune di Livorno, l’evento giunto alla sedicesima edizione, quest’anno ha visto anche una sezione speciale dedicata a Pasolini. La Commissione giudicante, composta da docenti universitari, letterati, storici, giornalisti, poeti e scrittori, ha avuto un compito molto impegnativo da svolgere.
Il Premio, infatti, è stato il primo in Italia a istituire le modalità di giudizio in modo anonimo, senza cioè che il membro di commissione conoscesse dati o riferimenti sull’autore; infatti il voto espresso tiene conto del valore del componimento letterario senza valutazioni accessorie di carattere personale.
Un meritatissimo quarto posto per Max, che si attesta sul podio con il componimento “Hannibal”. Il poliedrico artista dedica il prestigioso riconoscimento al compianto poeta rubastino Pietro Stragapede, scomparso proprio il giorno dell’assegnazione del premio.
Queste le parole di Max appena appresa la notizia della vittoria: “Mooooo! Pure poeta sei? E che …………… E si. Mi ritrovo ad esserlo quasi senza volerlo. Mi chiedo anch’io il perché. La poesia, poi. Assurdo. Dove ho imparato? Forse non l’ho imparata, ma semplicemente scritta. L’arte in tutte le sue forme mi ha sempre, in un certo senso, tormentato. Sin da bambino mi dicevano: “Sai perche non ti diverti molto con i tuoi coetanei? Perché sei riflessivo. Sembra tu abbia già molti cazzi per la testa.”
In realtà, io la poesia la osservavo. Tutto ciò che profumava di poesia, col mio naso, lo catturavo. Con gli occhi vedevo oltre le immagini, i momenti li ascoltavo. Ma che é sta poesia? Bho, ci provo. Poesia é essere, alla mia età, stanchi delle tante chiacchiere regalate e vendute come fossero fatti seri. É ascoltarsi davvero”.
Poi prosegue: “Ricordare un pezzo di pane diviso da mia nonna squarciandolo sul suo petto, esattamente all’altezza del cuore, alzando i gomiti e tirandolo con le mani in forze contrapposte, da destra e sinistra; esercizio di braccia che dividevano il pane per unire i cuori. Spargendo odore di grano, d’infanzia, mai tagliato ,per galateo, eleganza, per offrirlo ai nipoti.
Tre pezzi informi conditi con pomodori, olio, sale, origano, aglio. Noi nipoti, morderlo premendo il gusto sotto il palato, incidendo la memoria col profumo dell’aglio pungente al naso”.
“Prendere una biro e magari scrivere – sottolinea Di Gioia – su un pacchetto di sigarette il succo di una giornata già spesa, asservita alla vita. Scrivere di aver visto una tragedia nel cielo, esattamente su un pino, messa in atto tra gazze e pappagallini. Scrivere di aver incrociato uno sguardo che come acqua, ha riempito la tua bottiglia, colmando tutto il tuo vuoto fino all’orlo degli occhi, generando anche una lacrima. Di aver percepito la disperazione di un uomo malgrado non volessi. Come un artigiano uso parole, le cerco in un magazzino che di nome fa vocabolario e le metto insieme, creo i miei versi. Il poeta compone.
Negli anni ho elaborato molti componimenti e adesso ho deciso di sottoporli a concorsi e a figure del campo letterario, anche per capire cosa scrivo, chi sono. I miei veri amici sanno come e chi sono (o almeno così dicono). Dopo aver presentato i miei testi in forma anonima al premio Città di Livorno ed essere stato scelto tra centinaia, forse, che vi posso dire! Sono poeta Boooooooh!!!!!!!!! Potrebbe anche essere così”.
Ecco il testo poetico vincitore:
HANN-I-BA’AL
Agnello di Dio
che togli i peccati del mondo.
Atto tribale, arcaico, immondo.
Non su una lucente pira
ma su una croce,
condanna mistica, feroce.
Giovanni disse
tu che togli i peccati.
Agnello o figlio di Dio
affidiamo ancora a te
le nostre preci, il nostro oblio.
Si compra ancora il sapore
di agnelli scannati,
di infantili e trucidati belati,
ma si dimentica del sangue l’odore.
Ci siamo evoluti? Oh mio Signore!
A venti giorni li condanniamo,
sazi, alla tua resurrezione veniamo,
belli, pettinati come santi in processione,
digerita degli agnelli la voce
e di ciò che bisbigliasti
lì su dalla tua croce.
Agnello figlio di Dio!
Mettiamo ancora in tavola
innocenti creature in nome tuo
e dei peccati che ti porti addosso,
esaltati, inebriati, ubriachi,
sorseggiando un buon vino rosso.
Agnello di Dio e di tradizioni,
servirebbe un addio
a queste nostre esecuzioni.
Il titolo è assolutamente fallace e ambiguo.
Vince il premio.
Poi si legge che è sul podio.
Poi si legge che è quarto. Non sappiamo da quando il podio va oltre i tre.
Insomma, una menzione. Finalista, tutt’al più.
Una presunzione senza fine.