LUCE E VITA: Quale "Buona scuola"?
Ecco l’editoriale di questa settimana di “Luce e Vita”:
“Il 5 maggio è stato teatro di uno sciopero ad altissima partecipazione del personale scolastico, in una percentuale che oscillerebbe, se si confrontano i dati della funzione pubblica e quelli resi noti dai sindacati, tra il 70% e l’80% dei lavoratori. Nei social network e sulle piazze globali dell’informazione, giravoltano notizie e opinioni, accomunate dal sostanziale rifiuto del DDL del governo Renzi, la sedicente “Buona scuola”. Eppure, con alcuni emendamenti, che non paiono modificare la sostanza della riforma, il DDL è stato frettolosamente, e distrattamente, approvato dalla Camera e ora si attende la discussione in Senato.
La “Buona scuola” è attualmente causa di un vero e proprio braccio di ferro tra il governo e i sindacati, che minacciano misure drastiche, come il blocco degli scrutini e degli esami di Stato. A sua volta, il premier Renzi si è abbandonato a dichiarazioni che sinceramente destano non lievi perplessità, come l’auspicio di un sindacato unico, con scarsa considerazione dell’importanza che la plurivocità riveste in uno Stato democratico.
Insomma, la scuola italiana appare nuovamente piombata nel caos, in virtù di una legislazione che ha la pretesa di presentarsi come il “migliore dei mondi possibili”. In realtà, il DDL denota innumerevoli zone d’ombra e potrebbe nuocere soprattutto al principio della meritocrazia, ch’esso tanto sbandiera forse proprio perché, insieme alla pedagogia e alla democrazia, è il grande assente nel disegno legislativo. Soprattutto, sembra decisamente latitare proprio la volontà di ascolto delle voci contrarie, innumerevoli e pressoché unanimi, che si levano dal mondo della scuola.
Il punto di forza della “Buona scuola” parrebbe il piano di assunzione di oltre 100.000 precari, con il dichiarato obiettivo di puntare all’estinzione delle Graduatorie a esaurimento (GAE) e sanare la piaga del precariato nel settore. Così, destinatari della proposta di assunzione, per cui dovranno effettuare domanda, saranno gli iscritti nelle GAE e nelle graduatorie di merito del concorso del 2012. Inutile dire che non a tutti toccherà questa liberazione, considerata la mole degli elenchi della speranza. L’esclusione dal piano di assunzione degli idonei del concorso a cattedra del 2012 ha suscitato un vespaio e determinato un passo indietro (essi dovranno attendere tempi più lunghi, ma saranno preservati). In realtà è invece passato inosservato il fatto che anche molti vincitori non saranno oggetto di proposte di contratto. Infatti, nell’art. 10, comma 9, è previsto che questi ultimi, se già immessi nei ruoli per effetto di un’altra graduatoria di merito, non siano destinatari di assunzione. In questo modo, il Governo vanifica intere procedure concorsuali del 2012. L’esempio più evidente, in Puglia, è rappresentato dal concorso per la graduatoria A051 (Italiano e Latino nei licei), in virtù della quale solo il primo ora siede in cattedra nei licei. Gli altri ventisette vincitori si vedranno scippare una proposta meritata sul campo, solo perché già immessi in ruolo in altre classi di concorso, dallo scorrimento più rapido. Lampante esempio di come si possano sprecare risorse statali, per bandire procedure concorsuali che i successivi governi disferanno come tele di Penelope.
I ‘fortunati’ assunti saranno sottoposti al consueto anno di formazione, ma, in caso di mancato superamento del periodo di prova, non si parla di una seconda possibilità ‒ come avviene attualmente ‒, e l’art. 11, c. 5, sottolinea che “il dirigente scolastico provvede alla dispensa dal servizio con effetto immediato, senza obbligo di preavviso”. Questo non è positivo, perché anche un valido docente può incorrere, se osteggiato dal suo dirigente, in un esito negativo dell’anno di prova. Il fatto che, comunque, nella decisione intervenga il Comitato di valutazione interno non è una garanzia sufficiente ai fini della tutela del lavoratore.
Per chi non sarà destinatario di assunzione, permarranno le GAE non esaurite della secondaria e quelle della scuola dell’infanzia, della primaria e del personale educativo. L’assegnazione dei neoassunti per il 2015/2016 sarà provvisoria, come del resto avveniva in passato; successivamente, inseriti nei fumosi “ambiti territoriali” (nuova sfuggente frontiera dell’organico dell’autonomia), essi parteciperanno, “per l’anno scolastico 2016/2017, alle operazioni di mobilità (…) a livello nazionale, ai fini dell’attribuzione dell’incarico triennale”. Si preannuncia, per loro, così come per eventuali soprannumerari, un futuro di ‘precarietà’ nelle sedi scolastiche. In generale, si profila un’epoca di scarso ordine e di discutibile trasparenza nella mobilità del personale docente.
Per tutti gli altri aspiranti docenti di ruolo, le assunzioni avverranno per effetto di concorsi e dei già citati “ambiti territoriali”, da cui verranno effettuate le proposte di contratto. Tra l’altro, non tutto il personale docente salirà in cattedra, perché, nell’organico dell’autonomia, è previsto che alcuni insegnanti siano chiamati a effettuare le sostituzioni dei docenti assenti o a concorrere al potenziamento dell’offerta formativa.
Il punto più controverso del DDL è rappresentato dal ruolo pervasivo dei Dirigenti scolastici. Un potere che ha indotto a coniare la formula di “preside sceriffo”; un salto nel buio, all’insegna di una leadership decisionista e dirigista. Del resto, la “Buona scuola” sembra uniformarsi principalmente ai modelli aziendali, ignorando come decenni di letteratura industriale – e non solo – ne abbiano mostrato, accanto all’efficienza sotto il profilo produttivo, anche i risvolti altamente negativi dal punto di vista umano. Aspetto che, nella scuola, dovrebbe prevalere sulle logiche efficientistiche.
L’art. 9, c. 2, prevede che “il dirigente, per la copertura dei posti dell’istituzione scolastica”, proponga “gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi. Il dirigente scolastico può utilizzare il personale docente in classi di concorso diverse da quelle per le quali è abilitato, purché possegga titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina (…)”. Insomma, qualora un docente desiderasse trasferirsi da un istituto all’altro, dovrà autocandidarsi, in attesa che un dirigente lo assuma. Quest’ultimo non potrà basarsi su criteri rigidamente prestabiliti, come sinora accadeva con le graduatorie di istituto, per le quali valeva un punteggio, ch’era frutto della combinazione di anzianità di servizio, dei titoli culturali posseduti e di altri fattori (numero di figli, ricongiungimento al coniuge ecc.). Ciò significa attribuire un’enorme discrezionalità alla figura dirigenziale.
Teoricamente, questo tipo di procedura potrebbe anche recare giovamento all’istituzione, se si fosse certi che le dirigenze, tutte virtuose, si lascino guidare esclusivamente dal curriculum del docente, dai suoi titoli e da fattori inequivocabili che possano certificarne la bravura. Se, però, si guarda a ciò ch’è avvenuto e avviene tuttora nel sistema universitario, con concorsi di cui non di ositivo, perché anche un valido docente può incorrere, se osteggiato dal suo dirigente, in un esito negativo dell’anno di prova. Il fatto che, comunque, nella decisione intervenga il Comitato di valutazione interno non è una garanzia sufficiente ai fini della tutela del lavoratore.
Per chi non sarà destinatario di assunzione, permarranno le GAE non esaurite della secondaria e quelle della scuola dell’infanzia, della primaria e del personale educativo. L’assegnazione dei neoassunti per il 2015/2016 sarà provvisoria, come del resto avveniva in passato; successivamente, inseriti nei fumosi “ambiti territoriali” (nuova sfuggente frontiera dell’organico dell’autonomia), essi parteciperanno, “per l’anno scolastico 2016/2017, alle operazioni di mobilità (…) a livello nazionale, ai fini dell’attribuzione dell’incarico triennale”. Si preannuncia, per loro, così come per eventuali soprannumerari, un futuro di ‘precarietà’ nelle sedi scolastiche. In generale, si profila un’epoca di scarso ordine e di discutibile trasparenza nella mobilità del personale docente.
Per tutti gli altri aspiranti docenti di ruolo, le assunzioni avverranno per effetto di concorsi e dei già citati “ambiti territoriali”, da cui verranno effettuate le proposte di contratto. Tra l’altro, non tutto il personale docente salirà in cattedra, perché, nell’organico dell’autonomia, è previsto che alcuni insegnanti siano chiamati a effettuare le sostituzioni dei docenti assenti o a concorrere al potenziamento dell’offerta formativa.
Il punto più controverso del DDL è rappresentato dal ruolo pervasivo dei Dirigenti scolastici. Un potere che ha indotto a coniare la formula di “preside sceriffo”; un salto nel buio, all’insegna di una leadership decisionista e dirigista. Del resto, la “Buona scuola” sembra uniformarsi principalmente ai modelli aziendali, ignorando come decenni di letteratura industriale – e non solo – ne abbiano mostrato, accanto all’efficienza sotto il profilo produttivo, anche i risvolti altamente negativi dal punto di vista umano. Aspetto che, nella scuola, dovrebbe prevalere sulle logiche efficientistiche.
L’art. 9, c. 2, prevede che “il dirigente, per la copertura dei posti dell’istituzione scolastica”, proponga “gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi. Il dirigente scolastico può utilizzare il personale docente in classi di concorso diverse da quelle per le quali è abilitato, purché possegga titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina (…)”. Insomma, qualora un docente desiderasse trasferirsi da un istituto all’altro, dovrà autocandidarsi, in attesa che un dirigente lo assuma. Quest’ultimo non potrà basarsi su criteri rigidamente prestabiliti, come sinora accadeva con le graduatorie di istituto, per le quali valeva un punteggio, ch’era frutto della combinazione di anzianità di servizio, dei titoli culturali posseduti e di altri fattori (numero di figli, ricongiungimento al coniuge ecc.). Ciò significa attribuire un’enorme discrezionalità alla figura dirigenziale.
Teoricamente, questo tipo di procedura potrebbe anche recare giovamento all’istituzione, se si fosse certi che le dirigenze, tutte virtuose, si lascino guidare esclusivamente dal curriculum del docente, dai suoi titoli e da fattori inequivocabili che possano certificarne la bravura. Se, però, si guarda a ciò ch’è avvenuto e avviene tuttora nel sistema universitario, con concorsi di cui non di rado si conoscono già i vincitori, in ossequio a dinamiche politiche o a scambi di favori, lo scenario diviene poco edificante. Le assunzioni dei docenti (per giunta con aperture anche a non abilitati!) potrebbero replicare quanto avviene ai più alti livelli. Questa riforma rischia, in sostanza, di estendere il baronato alla scuola pubblica. “Io assumo tua figlia a scuola e tu sistema il mio rampollo in azienda o, magari, fagli fare un bel dottorato…”. Induce, pertanto, al sorriso il fatto che si pretenda di prevenire il diffondersi di malcostumi in tali procedure con la semplice aggiunta di un inutile comma 4 (“Nel conferire gli incarichi, il dirigente scolastico è tenuto a dichiarare l’assenza di cause di incompatibilità derivanti da rapporti di coniugio, parentela o affinità, entro il secondo grado, con i docenti assegnati al relativo ambito territoriale”.) La tanto decantata meritocrazia potrebbe quindi finire col risultare simile al principio di legittimità nel Congresso di Vienna: criterio dominante, qualora non entrino in gioco logiche di potere più cogenti. Insomma, una meritocrazia all’italiana…
rado si conoscono già i vincitori, in ossequio a dinamiche politiche o a scambi di favori, lo scenario diviene poco edificante. Le assunzioni dei docenti (per giunta con aperture anche a non abilitati!) potrebbero replicare quanto avviene ai più alti livelli. Questa riforma rischia, in sostanza, di estendere il baronato alla scuola pubblica. “Io assumo tua figlia a scuola e tu sistema il mio rampollo in azienda o, magari, fagli fare un bel dottorato…”. Induce, pertanto, al sorriso il fatto che si pretenda di prevenire il diffondersi di malcostumi in tali procedure con la semplice aggiunta di un inutile comma 4 (“Nel conferire gli incarichi, il dirigente scolastico è tenuto a dichiarare l’assenza di cause di incompatibilità derivanti da rapporti di coniugio, parentela o affinità, entro il secondo grado, con i docenti assegnati al relativo ambito territoriale”.) La tanto decantata meritocrazia potrebbe quindi finire col risultare simile al principio di legittimità nel Congresso di Vienna: criterio dominante, qualora non entrino in gioco logiche di potere più cogenti. Insomma, una meritocrazia all’italiana…”.