L'EX ASSESSORE DI RELLA: "PROSTITUTE E SPAZZATURA NON RENDONO ONORE A CHI VUOLE PUNTARE SULL'AGRICOLTURA"
Sabato mattina, a quasi un mese dal Santo Natale.
Una passeggiata fuori città in un giorno quasi primaverile è ciò che serve per disintossicarsi dalle apprensioni di una dura settimana di lavoro. Esco di casa e già respiro i profumi della serena campagna ruvese, già visibile a poche decine di metri dall’uscio di casa. Pochi minuti e sarò già oltre i binari della linea Bari-Nord. Potrò iniziare ad attraversare la splendida campagna ruvese, fuori dal traffico e dallo smog cittadino.
Quattro passi oltre il cancelletto di casa, un salto per evitare la catasta dei bustoni di spazzatura ammassati sul marciapiede e sono già al passaggio a livello. Ore 7,20: binari chiusi. Nell’attesa che i lenti treni attraversino quel tratto di Via Santa Barbara, guardo fiero quel totem, posto su di un blocco di pietra che indica l’ingresso alla “porta del parco dell’Alta Murgia”. Struttura posta al centro di una piazzetta ricavata circa un anno fa, su una porzione malmessa di suolo comunale.
L’idea è quella dell’inizio di un percorso entusiasmante, fatto di quiete, aria pulita e relax. Ore 7,30: il passaggio a livello è ancora chiuso. Inizio a saltellare sul posto per riscaldarmi un po’ ma è meglio di no, un trattore in moto ed un camioncino hanno ormai saturato l’aria di un puzzo infernale, e ancora non si passa. Mi defilo verso la piazzetta cercando di sottrarmi dai fumi quando sento alzarsi dalla lunga fila di veicoli che quasi bloccano il transito lungo Via Scarlatti il più disparato, ma perfettamente alternato, strombazzare di clacson. E mica solo quello: cori impietosi di agricoltori frettolosi infieriscono contro la stazione.
Ed insieme alla rabbia per l’insopportabile ritardo, sento confondersi anche quella di tutti quelli che nella tragedia ferroviaria di luglio scorso hanno sofferto la perdita di una persona cara. Ancora nulla. I clacson impazzano, le urla ed i fischi diventano più insistenti, gente fuori dalle auto, traffico bloccato ed il puzzo diventa insopportabile. Un automobilista, imprecando ad alta voce, cerca di fare una improbabile inversione di marcia ma, proprio in quell’istante, la locomotiva – che attraverso i suoi finestrini lascia intravedere il suo macchinista indolente e fiero – attraversa la strada. Ingorgo infernale. I pazienti ciclisti, arrivati o frotte nei 20 minuti di attesa, prendono in spalla le bici e zigzagando tra le auto raggiungono il “pilone”.
Ed io dietro di loro: una fuga dalla città pari quasi ad una fuga da Alcatraz. La fontana, il pilone, altra opera riqualificata qualche mese fa dall’Amministrazione Ottombrini, è una sosta obbligata per tutti quelli che vanno e tornano dalla campagna. Un cantuccio sfizioso e ancora intatto, dove assetati viandanti possono trovare il meritato ristoro. E non solo gli assetati. Con le narici ancora intrise di quell’odore acre mi precipito sotto la fontana per bere un sorso d’acqua mentre torno a ripensare al proposito iniziale: una serena e tranquilla passeggiata mattutina nella campagna ruvese.
Tra gli sgargianti colori delle tute dei velocipedi, pronti a ripartire, noto subito il colore scuro della pelle di 3-4 signore. E penso a quanta gente, anche forestiera sia capace di attrarre la nostra città. Tutta gente che forse come me preferisce stare a contatto con la natura, capace di staccare dal lavoro e prendersi una meritata boccata d’aria. Le signore (o signorine) perfino mi salutano con un sorriso, io ricambio e inizio finalmente la mia passeggiata. Comincio con una corsetta quasi sul posto, accompagnata da una respirazione cadenzata e già ho lasciato alle spalle circa 400 metri di asfalto e avrò superato almeno altre 5-6 ragazze di colore che come le prime mi hanno salutato e sorriso al volo. La strada provinciale 63 conserva ancora delle insenature, ricavate dalla vecchia sede stradale con alberi di pino che hanno ormai raggiunto dimensioni importanti.
Decido di percorrere il primo tratto a destra, ottima possibilità per quanti volessero, al riparo dai pericoli della strada, fare qualche esercizio fisico o riposarsi prima di ripartire. Uno spettacolo indicibile. Mucchi di calcinacci abbandonati, nascosti sotto i lunghi rami degli alberi di pino che quasi toccano il suolo. Un televisore, bottiglie di plastica a vetro, detriti, e soprattutto tanto imbarazzo. Riprendo la mia corsetta schivando i rami più insidiosi e la variegata spazzatura con l’obiettivo di uscire quanto prima dall’impasse. Rieccomi in strada ed ecco ancora due turiste di colore, un saluto, un sorriso ed una di loro cerca perfino di fermarmi. Avrà bisogno di aiuto? Ancora più imbarazzato, alzo il passo in cerca di una sosta. Di lì a poco l’ultima rientranza della vecchia sede stradale. Decido di fermarmi lì. Ma lo spettacolo, anche in questo spazio “similverde”, è raccapricciante: sacchetti, rami, macerie, elettrodomestici, tubature e perfino un divano appena scaricato da un camioncino che al mio arrivo frettolosamente ha abbandonato il luogo del deposito. E subito mi viene in mente la scritta letta all’inizio del percorso: “Ruvo porta del Parco dell’Alta Murgia”. Ma quale porta? Ma quale Alta Murgia?
Sono le 9.30 e sono stanco. Torno a casa, la campagna ruvese non è questa. Prostitute e spazzatura non rendono onore ai propositi di chi vorrebbe puntare sull’agricoltura e sul turismo (quello vero), a chi vorrebbe rilanciare la nostra città partendo dai prodotti tipici. Il tipico, per ora, è quello che si vede nelle nostre campagne: sporcizia e tanto, tanto imbarazzo.