L'editoriale di "Luce e Vita": "Nella speranza la dignità del pane"
La ricorrenza del primo maggio, negli ultimi anni, ha sottolineato a più riprese la pesante situazione di precariato lavorativo che continua a caratterizzare il nostro paese, come la gran parte dell’Europa. Quest’anno, il messaggio dei Vescovi italiani per la giornata del 1° maggio, è legato al cammino della prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia (4-25 ottobre 2015) e ha come cornice di speranza e di riflessione l’evento del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015): “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.
Il messaggio infatti riafferma ancora una volta come “senza lavoro, non c’è famiglia e non c’è dignità umana”, anche se sono ancora molti i precari che nel nostro Paese, specie giovani, mancano della dignità del lavoro. Il loro disperato grido di bisogno costituisce realmente la periferia che, più di tutte, ci chiede attenzione e premura. Perché nei tanti disoccupati c’è realmente il Cristo che soffre. Lui, il Figlio dell’uomo che non ha dove posare il capo, è però il Signore vicino a chi ha il cuore ferito: lui, il falegname, il carpentiere di Nazareth, di certo comprende le nostre fragilità e precarietà, spirituali e lavorative. Ancora una volta la Chiesa Italiana sente infatti impellente il dovere di fondare la nostra economia su un preciso orientamento etico e antropologico che ponga sulla persona, non solo sul mercato, la forza stessa dell’economia. La mancanza di lavoro uccide, poiché è “un’economia dell’esclusione e della inequità” (Evangelii gaudium 53).
Oggi infatti il problema del lavoro si pone non nell’ottica della sussistenza, ma su quello di “non poter portare il pane a casa”. Diviene urgente che Chiesa e società italiana, si interroghino con trepidazione sul futuro dei nostri giovani, sulla loro dignità. Sentiamo infatti che questa precarietà è attesa di nuove strade, per la costruzione del bene comune. Occorre riprendere l’arte dell’accompagnare. Cioè far abitare con fiducia il nostro tempo, con una vita sociale piena e partecipativa. Rendere protagonisti i giovani, anche negli anni della precarietà, in modo da far riconoscere nella pratica della giustizia la forza delle radici dell’albero della vita. Accompagnare vuol dire star vicino, condividere lacrime e speranze, in un’empatia che si fa misericordia vissuta e solidale, che sta alla base di ogni esperienza cooperativistica. Solo così si radicano con fedeltà esperienze degne di coraggio come il Progetto Policoro o iniziative ormai consolidate come quella del Jobday diocesano che si terrà il prossimo 15 maggio (seminario Vescovile di Molfetta ore 16-20.30).
Ma in questo accompagnare decisivo e controcorrente resta il rispetto della Domenica! Se, infatti, non si rispetta la Domenica, non si avrà rispetto nemmeno per chi è disoccupato. E il lavoro diventerà schiavizzante e oppressivo, come già si vede in certe esperienze di tipo industriale, che non perseguono più la strada della solidarietà, ma solo quella del profitto assoluto. Questa visione di solidale attenzione al fragile e al precario si impara già in famiglia, che si fa scuola sociale nel suo stesso esserci. Vanno perciò coniugati i tempi del lavoro con i tempi della famiglia, perché è da questa sorgente, vicina, unita e riconciliata, che può sgorgare un flusso vitale, capace di aiutarci a gestire questa crisi etica, sociale ed economica.
Solo insieme ne usciremo. Lottando contro la paura e l’indifferenza.
Confidiamo in san Giuseppe, che posa lo sguardo su Gesù, lui “che ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo e ha lavorato con mani d’uomo!” (Gaudium et spes 22).