L'EDITORIALE DI "LUCE E VITA": "CON L'INTELLIGENZA DELLA FEDE"
E’ firmato da Mario Petruzzelli l’editoriale di “Luce e Vita” di questa settimana.
In occasione del Giubileo si è svolto a Roma il convegno nazionale dei direttori e collaboratori degli uffici catechistici diocesani sul tema «Memoria di Dio» annuncio e catechesi, nel corso del quale è stato trattato il tema della misericordia come esperienza fondamentale della vita dell’uomo.
Grazie alla misericordia si verifica infatti «un cambiamento radicale del suo modo di pensarsi in relazione a Dio, ma anche in relazione agli altri e a se stesso». Questo è il punto numero 1 da cui partono le 16 Propositiones per una catechesi della Misericordia che sono state elaborate dall’Associazione italiana dei catecheti (AICa). «Alla luce della Misericordia», osserva l’AICa, l’azione pastorale della Chiesa «non può essere pensata nei termini di una mera organizzazione» né può limitarsi a essere «espressione di idee ecclesiologiche, canonistiche e teologiche-morali». La Misericordia chiede ai catechisti un «salto di qualità» perché siano espressione di una «Chiesa che si fa prossimità» e in «sintonia con il magistero di Francesco», va «verso tutti», crea «vicinanza con ogni uomo e ogni donna». Pertanto diventare cristiani non riguarda solo le nuove generazioni e il periodo della iniziazione cristiana, ma è aperto all’orizzonte di tutta la vita, perché sempre in ogni età abbiamo bisogno della Parola di Dio e di rinsaldare e nutrire la nostra fede con l’apporto della catechesi.
C’è oggi una sottile tentazione che serpeggia tra i catechisti: ritenere sufficiente la propria testimonianza di fede o l’organizzazione di attività che facciano incontrare e socializzare la gente. Senza lo sforzo dell’intelligenza della fede, questa risulta insufficiente a sostenere le scelte di vita. La testimonianza specifica del catechista è l’insegnamento. Egli è maestro perchè si fa continuamente discepolo di Gesù e della Chiesa. Egli deve trasmettere i contenuti della fede che non sono suoi, ma gli vengono consegnati dal Magistero del Papa e dei Vescovi di cui è collaboratore. Per questo la sua formazione è permanente e continua.
Il catechista non può improvvisare né tanto meno recitare una lezione, deve impartire un insegnamento vivo che lo renda fedele interprete della rivelazione di Dio e della tradizione della Chiesa (Cfr. Rdc n. 187). è quanto emerge dalle parole di Papa Francesco nell’omelia per il Giubileo dei catechisti (25/09/2016) per riprendere con nuova energia l’impegno catechistico: «La mondanità è come un ‘buco nero’ che ingoia il bene, che spegne l’amore, perché fagocita tutto nel proprio io», ha spiegato: «Allora si vedono solo le apparenze e non ci si accorge degli altri, perché si diventa indifferenti a tutto». «Chi soffre questa grave cecità – ha ammonito Francesco – assume spesso comportamenti ‘strabici’: guarda con riverenza le persone famose, di alto rango, ammirate dal mondo, e distoglie lo sguardo dai tanti Lazzaro di oggi, dai poveri e dai sofferenti che sono i prediletti del Signore». «Chi vive per sé non fa la storia. E un cristiano deve fare la storia! Deve uscire da se stesso, per fare la storia!», ha esclamato il Papa: «Come servitori della parola di Gesù siamo chiamati a non ostentare apparenza e a non ricercare gloria; nemmeno possiamo essere tristi o lamentosi».
«Non siamo profeti di sventura che si compiacciono di scovare pericoli o deviazioni», ha proseguito a proposito dell’identità dei cristiani: «Non gente che si trincera nei propri ambienti, emettendo giudizi amari sulla società, sulla Chiesa, su tutto e tutti, inquinando il mondo di negatività. Lo scetticismo lamentevole non appartiene a chi è familiare con la Parola di Dio». «Chi annuncia la speranza di Gesù è portatore di gioia e vede lontano, ha orizzonti, non ha un muro che lo chiude»; l’identikit di Francesco: «Vede lontano perché sa guardare al di là del male e dei problemi». Al tempo stesso, il cristiano «vede bene da vicino, perché è attento al prossimo e alle sue necessità». «Dinanzi a tanti Lazzaro che vediamo – l’invito finale del Papa – siamo chiamati a inquietarci, a trovare vie per incontrare e aiutare, senza delegare sempre ad altri o dire: ‘Ti aiuterò domani, oggi non ho tempo, ti aiuterò domani’. E questo è un peccato. Il tempo per soccorrere gli altri è tempo donato a Gesù, è amore che rimane: è il nostro tesoro in cielo, che ci procuriamo qui sulla terra».
Buon cammino a tutti gli operatori dell’Iniziazione cristiana!