Enogastronomia

La tre giorni ruvese di rock e street food

L’essenzialità è stata la caratteristica principale della prima edizione di “Street Food & Ruvo di Puglia Festival Rock” che ha animato, dal 1 al 3 giugno, il parcheggio di via Eduardo De Filippo, in una delle periferie ruvesi su cui si concentra, da qualche anno, l’attenzione di enti culturali per un loro rilancio.

Palco di piccole dimensioni a ridosso dell’estramurale Scarlatti, luci senza effetti e giochi mirabolanti sotto le quali si sono esibite nove band emergenti del panorama rock pugliese. A fare da ali al palco, chioschi e paninoteche ambulanti, intervallati da tavoli intorno a cui comitive di ragazzi e gruppi familiari gustavano, senza sensi di colpa, panini imbottiti,  carne alla brace, crêpes, patatine fritte e tutto quello che rientra nel “cibo di strada”, preparato a regola d’arte.

Pochissime e in secondo piano le bancarelle artigianali. Particolare il chiosco dove si vendevano locandine di Lp dei big del rock.

Ma, tutto sommato, anche se non ha fatto grandissimi numeri in termini di affluenza – non paragonabili a “Ruv’n’roll” che tornerà anche quest’anno –  è stata soddisfacente questa prima edizione di un festival dedicato al cibo di strada e al rock, organizzato dall’Associazione F645 e patrocinato dal Comune di Ruvo di Puglia, in collaborazione con la Pro Loco.

Son piaciute – qualcuno ne è rimasto deluso – le nove band emergenti che, a gruppi di tre, si sono avvicendate sul palco nella tre giorni.

Prima serata con i “Sangue” (flusso); i “Santamuerte” da Mola di Bari (hawaian garage) e i barlettani “Rainbow Bridge”  che dal 2006 omaggiano Jimi Hendrix e «fanno un viaggio senza fine tra il blues, il desert rock e la musica elettro-psichedelica».

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La seconda serata  ha inizio con i ruvesi “Alice’s Mirror” e il loro progressive-psychedelic rock; con i “Donatori d’organo”, che nascono nel 2007 grazie all’amore per il beat italiano e il cinèmatique: «When you back home tonight,  kiss your children. And tell them this kiss is from “Donatori d’organo”» è stato l’esordio che rivisita, ironicamente,  la carezza ai bimbi di Papa Giovanni XXIII. A seguire i “Marabù” con ritmi gypsy.

Serata finale con i baresi “The Fuzz Brothers” e il loro psycho-hysteric- stoner rock;  i tarantini “Atollo 13” e il surf rock della California anni Cinquanta e i “Dirty Trainload” da Bari con la loro “non richiesta”, “indesiderata” riscoperta del dissident blues.

Variegato il pubblico delle tre serate. Famiglie, appassionati del rock nero vestiti con vistosi tatuaggi, semplici curiosi. Unica nota stonata: lo stato indecoroso dei marciapiedi. Decisamente “rolling stones”.

(Foto © Ruvesi.it)

 

 

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