LA RECENSIONE DI FRANCESCO DI PALO SULLA STATUA D’ARGENTO DI SAN ROCCO
Recensione di Francesco di Palo sulla statua d’argento di San Rocco. È bello vedere intronizzata, tra le severe e disadorne navate della Cattedrale di Ruvo, la statua d’argento di San Rocco, capolavoro prima che dell’arte, della devozione della mia gente. Un’opera di straordinaria bellezza eseguita a sbalzo e fusione, nel 1793, dal noto argentiere napoletano Biagio Giordano su modello dell’immenso Giuseppe Sanmartino, quest’ultimo, per intenderci, l’autore del Cristo velato. La temutissima peste che aveva imperversato per secoli, era ormai al suo epilogo e cominciavano ad affacciarsi nuovi temutissimi morbi, tra i quali il colera, che avrebbero aperto grandi vuoti nelle popolazioni. L’immagine d’argento, nel suo vitale barocchetto, fu la grande bellissima preziosa risposta alle ansie e paure di fine Settecento, di una comunità che nella fede e nella intercessione del Francese, sin dal XVI secolo, trovò sempre consolazione e conforto. Perché, è bene ricordarlo con gli esempi concreti della storia “magistra vitae”, anche dai momenti più tristi, in cui tutto può sembrare perduto, si può uscire con rinnovato slancio e amore per la vita. Il solo pensiero che i miei progenitori, pur nella limitatezza di mezzi e nelle angustie mondane, siano stati capaci di innalzare un simile monumento di fede e civiltà, mi riempie di orgoglio e speranza. Chi crede può fare affidamento nel patrocinio del Santo pellegrino che, anche questo va ricordato, si ammalò a morte per le cure senza risparmio prestate a quanti furono colpiti dal morbo; chi di altro avviso, può trovare motivo di gioire considerando che anche dai tempi più bui e tristi si può uscire con la straordinaria bellezza dell’arte e del genio umano.Grazie a don Salvatore Summo per aver attualizzato questa intensa pagina della pietà ruvestina.
State a casa più e meglio che potete ma, quando tutto sarà passato, non dimenticate di far visita al San Rocco di Ruvo, lì pazientemente ad attendervi per farsi ammirare, insieme al fido “cagnuolo”, nella corazza di metallo prezioso finemente cesellato ma soprattutto irrorato da lacrime di speranza.