LA PSICOLOGA RUVESE SARA MARIA MAZZONE: “PARLATE DELLE VOSTRE EMOZIONI”
Con l’emergenza Coronavirus e i Decreti che si sono susseguiti in queste ultime settimane vi è stato un cambiamento radicale delle nostre abitudini di vita. A darci qualche consiglio in merito al modo in cui gestire questo particolare momento della nostra vita la Dott.ssa ruvese Sara Maria Mazzone, laureata in Psicologia clinica e della salute presso l’università D’Annunzio di Chieti, borsa di ricerca presso la cattedra di Psicopatologia e Psicologia dinamica di Chieti nel 2019, nonché psicologa e psicoterapeuta in formazione presso la scuola fenomenologico-dinamica di Firenze.
Grazie alla disponibilità della Dott.ssa Mazzone, attualmente in servizio presso l’associazione Co.s.m.a. di Pescara (coordinamento salute mentale Abruzzo), il nostro portale, in questi giorni, cercherà di offrire ai propri utenti dei consigli utili per superare, insieme, questa grande prova cui tutti siamo chiamati.
Con l’emergenza Coronavirus siamo stati tutti costretti a rinunciare ad alcune nostre libertà, a fare a meno di momenti di socializzazione e di svago con amici, a evitare il contatto fisico, oltre che a restare in casa per lungo tempo. Come si può gestire l’emotività di questo momento senza farsi prendere da ansia e paura?
“È una sfida complessa quella a cui siamo chiamati. Una sfida sociale ed emotiva del tutto nuova. In qualità di italiani, più di altre culture, siamo il popolo che vive il contatto corporeo con l’altro come parte integrante della proprie relazioni, della propria identità, cultura e non ultime, emozioni. Ci stringiamo le mani, ci abbracciamo e baciamo quando ci incontriamo o dobbiamo farci gli auguri, siamo il popolo del corpo a corpo, di quelli con la prossemica sempre troppo stretta secondo gli stranieri. Il rapporto con il nostro corpo e con l’altro sono intimamente connessi. La situazione delle misure di precauzione e della permanenza in casa perciò, sconvolge radicalmente il nostro modo di gestire il quotidiano, di vivere il nostro corpo, l’altro e quindi di conseguenza le nostre emozioni. Alla luce di ciò, questa delicata situazione richiama a due ordini di problemi che hanno come soluzione un unico antidoto che illustrerò più avanti.
Il primo problema riguarda il concetto di “estraneità”. Essa si configura come prototipo sia del Covid-19 in qualità di agente patogeno sia (questione non meno preoccupante) dell’altro in qualità di vicino di casa o conoscente. Basta notarlo quando, facendo la spesa (unica superstite attività quotidiana dei nostri giorni) notiamo che le persone che solitamente ci sorridevano smettono di farlo, e noi smettiamo di farlo a nostra volta. La cassiera di fiducia sembra una nuova sconosciuta, siamo attenti ai movimenti dell’altro – chiunque esso sia – per paura che questo possa all’improvviso tossire o anche solo avvicinarsi di qualche cm. Siamo comunemente spaventati e rischiamo che questo ci porti ad isolarci non solo fisicamente ma anche emotivamente. Stiamo dimenticando che l’altro, il vicino, il conoscente, il parente, è lo stesso di ieri e che possiamo, anzi, dobbiamo sorridergli. Stiamo confondendo la distanza tra corpi e quella emotiva, i decreti e le nostre sensazioni. Essere lontani fisicamente, non vuol dire essere distanti emotivamente. Ci si può emozionare ad un metro di distanza e con i guanti, si può essere vicini con una frase, un sorriso, una parola di conforto. Che questo momento per noi sia un esercizio per imparare a lavorare con le emozioni, a dare loro un nome, a comunicarle a parole.
A questo primo ordine di problema si aggiunge il compito di dover restare a casa per salvaguardare il bene comune. Tale condizione, espone il singolo e le famiglie a sensazioni di noia, paura, ansia, disagio, rabbia e confusione con le quali siamo chiamati a misurarci. Le nostre azioni quotidiane sono completamente ribaltate, i nostri affetti lontani, i nostri lavori sospesi, i nostri hobby da coltivare all’esterno abbandonati. Questo ci pone dinnanzi a forti emozioni.
La parola emozione deriva dal latino “ex-movo” che significa muovere-da. Le nostre emozioni sono pertanto le esperienze che ci orientano in tutto quello che facciamo in ogni istante della nostra vita, ci muovono costantemente, senza non vivremmo. La paura e l’ansia non fanno eccezione. Sono stati corporei del tutto adattativi che si attivano nel momento in cui avvertiamo un pericolo e ci preparano alla cosiddetta reazione “attacco/fuga”. Il flusso cardiocircolatorio aumenta, i muscoli si irrigidiscono; il tutto per prepararci a difenderci da qualcosa, a combattere o scappare. Quando ansia e paura si fanno presenti, il nostro cervello recepisce (secondo un retaggio evolutivo animale) i pericoli come qualcosa per cui prepararsi fisicamente. È scorretto pertanto, pensare che avere paura o ansia sia un problema. Tutt’altro! Vuol dire che il nostro sistema nervoso funziona e ci sta avvisando che qualcosa non va. Senza paura o ansia saremmo spacciati. Basta immaginare la scena di una macchina che ci viene in contro: senza la paura non ci muoveremmo, non sopravvivremmo. Cominciamo pertanto a pensare che avere paura e ansia è del tutto sano e funzionale.
Come anticipavo, la soluzione ad entrambi i problemi è unica: PARLARE DELLE NOSTRE EMOZIONI. Al partner, ai fratelli, agli amici, ai famigliari, a chiunque rappresenti per noi un perno fondamentale nella nostra vita. Dirci spaventati, descrivere le nostre sensazioni, interrogarle, capire da dove arrivino, discuterne, aprirsi emotivamente. È l’unico vero antidoto ai rischi psicologici che stiamo correndo in questo periodo. Utilizzare un linguaggio emotivo, ed esporsi emotivamente anziché rinchiudere le proprie emozioni in una roccaforte inaccessibile per paura di giudizio o per orgoglio, espone in questo momento storico ancor di più, a rischi psicopatologici non indifferenti, soprattutto qualora le condizioni del decreto dovessero prorogarsi. È una buona pratica clinica. Perciò esercitatevi a dirvi spaventati, ansiosi, arrabbiati e ad ascoltare i vostri cari farlo. È l’unica via da percorrere per la salute mentale di tutti.
A nulla servirebbero (e potrebbero anzi in alcuni casi peggiorare la situazione) le distrazioni forzate e continue fatte con lo scopo di non entrare in nessun modo in contatto con le proprie emozioni disturbanti. Le emozioni sono forze estremamente potenti: se le nascondiamo, esploderanno senza controllo. Senza contare, che il dialogo emotivo è alla base di una buona convivenza con se stessi e con l’ambiente famigliare e che è un ottimo incentivo per creare un’atmosfera di protezione, unione e convivialità in casa, e considerato che dobbiamo trascorrere in casa le nostre giornate, è bene che il clima sia di conforto e compartecipazione emotiva.
A questo, si aggiungono linee guida più generali: attenersi ai fatti oggettivi e cioè al pericolo oggettivo e non fittizio agendo in maniera logica, non intraprendere comportamenti poco produttivi sulla base dell’istinto dell’ansia, non darsi alla ricerca compulsiva di notizie sui social-media che potrebbe affievolire il nostro metro di giudizio e non consentirci di pensare e vivere le nostre emozioni in maniera sana. Il nostro cervello lavora costantemente per noi. Bisogna calcolare a tal proposito, che la percezione del numero delle morti si fa diversa se la notizia viene continuamente aggiornata o se la si legge una o due volte al giorno. Tendiamo cioè a sovrastimare il numero di morti e la gravità della situazione se esposti continuamente alle notizie e questo, spinge il nostro cervello ad allertare il corpo ( ansia e paura ). Attenersi ad un irrisorio numero di volte in cui ci si aggiorna migliorerà la qualità della nostra vita. Inoltre, è importante ricordare che il fenomeno covid-19 riguarda la comunità intera e non il singolo in sé. Questo ci consente di pensarci come una collettività, che vive e palpita all’unisono e si sostiene vicendevolmente. Infine, nei casi più gravi, è bene rivolgersi ad uno specialista. La mia categoria è attivamente in trincea in questo momento a livello nazionale. In qualità di operatori sanitari siamo in prima: siamo nelle cliniche, nei reparti, effettuiamo colloqui telefonici e via Skype (molte associazioni organizzano anche progetti di supporto telefonico gratuiti) per consentire alla popolazione di usufruire dei servizi di sostegno psicologico in questo momento così delicato”.