“La pacchia è strafinita”, due autori ruvesi in un’antologia di poesia civile
Le parole creano un mondo, reale o immaginario. Le parole commuovono, indignano, fanno riflettere o muovono all’azione.
E’ quello che è avvenuto quando un gruppo di poeti e scrittori ha deciso di rispondere con le proprie opere alle dichiarazioni di Matteo Salvini, attuale Ministro degli Interni, a proposito del fenomeno migratorio: «Confermo che è strafinita la pacchia per chi ha mangiato per anni alle spalle del prossimo: ci sono 170mila presunti profughi che stanno in albergo a guardare la tv».
La parola su cui si è concentrata l’attenzione dei nostri è “pacchia”, dall’antico verbo “pacchiare”, cioè mangiare smisuratamente, vivere nel Paese di Bengodi.
Un quadro che contrasta con la fotografia restituita dagli episodi di cronaca: scene di degrado, di sfruttamento lavorativo; di odio razziale e violenza. Contro gli immigrati.
Nel libro La pacchia è strafinita – Antologia di scritti poetici e in prosa di vari autori ed edito da Versante Ripido (https://www.amazon.it/dp/1983110205), si esamina la parola “pacchia” ribaltandone il significato e il senso. Le penne dei poeti e degli scrittori sono state usate talvolta con ironia, talaltra con indignazione e disperazione ma tutte si sono mosse per istinto, hanno trasferito sulla carta gli stati d’animo e le riflessioni degli stessi senza filtri. Non c’è “labor limae” ma ci sono i moti del cuore e della ragione. C’è la poesia civile.
A questa antologia hanno dato il contributo trentacinque intellettuali tra cui quattro autori pugliesi: Paolo Polvani e Francesco Paolo Dellaquila da Barletta; Luana Lamparelli e Vincenzo Mastropirro da Ruvo di Puglia.
Dei due autori ruvesi proponiamo i versi: indignazione “sobria” nei versi di Lamparelli, velati da sottile disperazione; ironia amara in quelli di Mastropirro.
«[… ] qua noi dimostriamo che non siamo tutti morti, che si deve fare attenzione a cosa si dice e a quale piazza. Questo è grande, enorme, pieno di valore». E’ quanto si legge in chiusura della prefazione. Ed è il senso dell’antologia.
Luana Lamparelli
«Ha una pacchia sul suo cuore,
Lui gli urla: “Ingordo, tu non hai valore!”.
Ma quello se ne infischia
Nell’affare politico sempre più s’invischia.
E si sa che quell’Olimpo è disumano
Per le bocche e gli occhi e le speranze
Non sa tendere una mano.
Non ha orecchie per ascoltare
Ma soltanto per replicare
Senza soffermarsi un attimo a pensare
A sforzarsi d’immaginare
Di sentire e di provare
Cosa significhi affogare,
Per la fame dilaniare,
Senza orizzonti il futuro scrutare
Su un’imbarcazione senza spazio
Dove il corpo vive ancora uno strazio
Che ripete in continuazione
Con allucinante ossessione
“Tu non sei che un inutile scarto”.
Ha una pacchia sul suo cuore,
Dalla sua bocca non escono parole buone,
Che poi vuol dire ragionate e ponderate
Di chi certe situazioni le ha viste e le ha annusate.
Sentirsi una poltiglia di inutili speranze
Nello scorrere del tempo sempre uguale
Senza mai riuscirlo a cambiare
Per migliorare la sorte, non dico strafare.
Ma il politico che ne sa
Dell’impellenza, della necessità,
Della mortificazione che il non essere nessuno dà?
Nemmeno io sono ascoltata
Ridotta a un numero su una carta votata
Sempre più spesso, nolente, mal giocata.
La verità che io posso contemplare
È la pacchia del politico che non sa governare
E nemmeno posso dire che abbia un bel parlare.
Va avanti per modi di dire,
Che di certo non gli consente di ammorbidire
Il malcontento generale
di chi da certe boccacce non si sente rappresentare.
Ed è questo il suo peggiore disonore:
Non ha peso la parola
Di chi parla stravaccato su una poltrona».
Vincenzo Mastropirro
«Il sole picchia forte
sulla testa di chi sa
o non sa cos’è la pacchia.
Serve l’ombra
subito ombra per trovar riparo
e non essere pacchiano.
Una pacchia…
Quale pacchia?
Ma che pacchia!
È solo lavoro duro, duro e nero
sotto il sole che picchia senza pacchia
e picchia forte sulle teste di chi soffre.
…nel frattempo – è finita la pacchia –
disse uno che di pacchia se ne intende».