La lezione di Michele Lotito: «Dobbiamo fare i conti con la nostra storia»
Esiste la storia ad usum delphini, quella ufficiale, scritta spesso dai vincitori, non sempre vera e la storia autentica, fatta di accordi segreti, di silenzi e strategie politiche.
Per questo è importante svelare e rivelare quello che è realmente accaduto, per onorare la verità dietro la quale ci sono persone e culture.
La lezione di storia “I profughi istriani e le foibe: la memoria ritrovata”, tenuta venerdì scorso dal professor Michele Lotito, a conclusione della rassegna storico-culturale “Mese della Memoria”, ha avuto questo scopo: ricostruire la vera storia dei conflitti tra italiani e slavi in Dalmazia e nella Venezia Giulia; dei massacri di massa a danno degli italiani da parte dei Comitati popolari di liberazione jugoslavi; di quello che accadde durante e dopo il secondo conflitto mondiale; dell’esodo degli italiani residenti in Istria e Dalmazia verso l’Italia. Per un inquadramento del fenomeno, Lotito suggerisce di leggere saggi storici tra cui “Il grande esodo” di Raoul Pupo.
Perché una lezione di storia per tutti? Come ha spiegato l’assessora alla Cultura Monica Filograno a una platea trasversale per età e istruzione, la storia non deve essere svuotata di senso con riti meramente formali, ma bisogna generare un suo approfondimento, per comprenderla e per non chiudersi in sé stessi nella contemplazione fredda di quello che è passato. E questo è il primo di un ciclo di appuntamenti con la nostra storia, non poi così lontana.
Lotito dà inizio alla sua lezione: egli ritiene che la legge del 30 marzo 2004 n. 92, istitutiva del Giorno del Ricordo, sia stata promulgata, quasi in contrapposizione alla Giornata della Memoria, commemorativa delle vittime della Shoah. Ma i massacri ad opera dei Comitati popolari di liberazione jugoslavi, per quanto esecrabili, non possono essere paragonati a un genocidio, all’annientamento sistematico di un popolo per la propria fede. La destra si è impossessata del “ricordo delle foibe”, ma oltre i fascisti furono uccisi anche civili, italiani (secondo la sommaria equazione Italia-Fascismo), sloveni e croati che nulla avevano a che fare con i devoti del Duce.
Ma quando comincia tutto? Si deve partire dalla storia di Trieste, del Goriziano e dell’Istria, territori, passati sotto la sovranità italiana, dopo il dominio austriaco, nel 1918. Crogiuolo di etnie e diverse culture, culturalmente vivace, l’intera area fu sottoposta alla italianizzazione che si intensificò con l’ascesa al potere di Mussolini.
Gli “italiani brava gente” usarono violenza per imporre la lingua italiana nei luoghi pubblici, nelle scuole, negli esercizi commerciali: cognomi e toponimi furono “italianizzati”. Furono eseguite settemila espropriazioni forzate di attività economiche che finirono col ridurre al lastrico molte famiglie. Nel 1941 i nazisti occuparono la Iugoslavia, mentre gli italiani occuparono la provincia di Lubiana, la Dalmazia e il Montenegro. Contro gli orrori e le violenze dei nazisti e fascisti si organizzò un movimento partigiano composto da alcuni comunisti della Resistenza triestina e giuliana, in accordo con quella jugoslava e in contrasto con il Comitato di Liberazione Nazionale Giuliano.
Nel 1943, dopo l’otto settembre, il territorio fu controllato dai nazisti. Si giunge al 1945, quando la regione fu conquistata dai partigiani jugoslavi che, dal primo maggio a metà giugno, occuparono Trieste e scatenarono una violenta rappresaglia nei confronti di fascisti, di civili italiani , croati e sloveni. Alcuni furono infoibati, molti altri arrestati e deportati nei campi di concentramento iugoslavi. Il numero delle vittime infoibate non è alto come si sostiene: molti corpi estratti appartenevano ai tedeschi uccisi in battaglia e gettati, poi, nelle cavità carsiche, per esempio. Intanto, si stipularono accordi tra gli angloamericani e gli jugoslavi. Con il Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, Trieste, sottratta alla sovranità italiana, fu posta sotto il controllo delle Nazioni Unite.
Successivamente il Territorio libero di Trieste fu diviso nella zona A, sotto un governo militare alleato, e la zona B, sotto l’amministrazione militare iugoslava (VUJA). Gli italiani protestarono, gli jugoslavi li contrastarono finché con il Memorandum d’intesa sottoscritto a Londra nel 1954 dalle parti in causa, si giunse a un accordo provvisorio in cui l’Istria occidentale fu attribuita in amministrazione civile alla Jugoslavia, mentre Trieste e Monfalcone furono assegnate all’Italia, purché venissero rispettate le minoranze e fosse stato mantenuto il porto franco a Trieste.
Tra il 1945 e il 1954, così, dall’Istria e dalla Dalmazia partirono 270.000 italiani verso l’Italia e, in quanto profughi – ma è la storia dei profughi di ogni tempo – non furono accolti a braccia aperte dai loro stessi connazionali, in un paese stremato dalla guerra: ad Altamura, dove c’era un centro di raccolta dei profughi istriani, le donne, emancipate e colte, erano considerate poco di buono. La maggior parte dei profughi cercava di ritagliarsi un angolo di vita normale nei campi raccolta, di riconquistare la propria identità nelle piccole cose quotidiane.
Ma perché gli infoibamenti e gli altri eccidi ad opera dei comunisti jugoslavi non sono stati puniti? E perché non se ne è parlato molto? Per ragioni politiche: negli anni Sessanta il generale Tito aderì alla politica di non allineamento, di neutralità nei confronti del blocco sovietico del Patto di Varsavia e del blocco nordamericano della NATO. Ergo, era meglio non rinvangare la storia delle “foibe” e altri avvenimenti a esse connessi, buttando terra sul ricordo dei piccoli, schiacciati dalla “Grande Storia.
Lotito ritiene che in Italia non si sia fatto l’esame di coscienza a cui si è sottoposta la Germania (sciagurata fu l’amnistia Togliatti, secondo il professore, per esempio). E questo perché non amiamo ammettere che abbiamo sbagliato. E non ci piace ricordare, inoltre, anche i soldati italiani che ritornarono dai campi di concentramento tedeschi, non ci piace ricordare i soldati che morirono in Russia: perché non ci piace la sconfitta e non ci piace fare autocritica, incalza.
Nell’attuale campagna elettorale, dove i profughi, gli immigrati sono considerati il grande nemico, Lotito sostiene ancora che ci si dimentica di fare i conti con la nostra storia. Ed è quello che tutti, a prescindere dall’appartenenza ideologica, dovrebbero fare, senza ragionamenti di politica spicciola. Si deve recuperare la propria umanità, anche se il mondo sembra dominato da leggi ferine.