LA FANOLE DI SANTA LUCIA A CURA DELLA PRO LOCO E’ INSERITA NELL’ALBO REGIONALE DEI “RITUALI DEL FUOCO”
Testo a cura di Mario Di Puppo, pubblicato su “Il Rubastino”.
La Pro loco di Ruvo di Puglia è lieta di annunciare l’inserimento della fanòle di Santa Lucia nell’albo regionale dei “rituali del fuoco”; è stato necessario predisporre ampia documentazione esplicativa sulle origini del culto laico associato alla martire siracusana, insieme alle testimonianze sulla continuità almeno ventennale della tradizione. Si conferma l’impegno della Pro loco – in sinergia con l’Amministrazione comunale – nella conoscenza e valorizzazione delle tradizioni ruvesi. L’ambito riconoscimento regionale sarà volano per l’iniziativa che potrà essere promossa oltre i confini comunali; in questo modo, si avranno ricadute sia nell’ottica della trasmissione di una memoria storica rituale ruvese, sia in termini di ricadute positive nell’ambito delle presenze turistiche cittadine. La più antica attestazione del “rituale del fuoco” connesso al culto ruvese di Santa Lucia risale perlomeno agli anni trenta del Novecento, come si apprende dall’articolo di Tommaso Tambone, pubblicato ne “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 13 dicembre 1980. L’autore testimonia che: “Cinquant’anni or sono (rispetto al 1980, data dell’articolo), l’intero paese era avvolto in dense folate di fumo e di fiamme, la sera del 13 dicembre. La causa era l’accensione simultanea di centinaia di «fanòle». La prima fanòle veniva accesa nel primo pomeriggio davanti alla chiesa di Santa Lucia, prima della funzione a conclusione della tradizionale novena; poi, di seguito, verso l’imbrunire, il fuoco si propagava a tutte le altre. A sera, l’immancabile mangiata di ceci fritti, noci, fichi secchi e «aminue meddische» (mandorle dal guscio morbido), il tutto innaffiato con un buon bicchiere di vino rosso distribuito da qualche generoso agricoltore e travasato da enormi «rezziule» (contenitori). A notte, sull’ultima fiammella, accorrevano «a frotte» le donne del rione, armate di «fraschere e paliette» (braciere e paletta), per raccogliere la «sacra brace» e riportare in casa il primo fuoco di Santa Lucia per metterlo al centro della stanza nel braciere lustro di rame ed ottone, in mezzo alla pedana. Era «u beneditte» (il benedetto), il fuoco nuovo del primo inverno”. Nel rito dell’accensione dei fuochi si deve leggere la trasposizione del tentativo di bruciare viva Santa Lucia durante la persecuzione di Diocleziano a Siracusa. Invece, i tradizionali ceci fritti nel tufo – consumati in occasione della festività della martire siracusana – rappresentano gli occhi della stessa gettati nel fuoco. Il rito ruvese del fuoco di Santa Lucia – pur nella sua attestata continuità – è stato ridimensionato nel tempo, fino a giungere ai giorni nostri, vantando un lasso temporale di almeno novantadue anni di ininterrotta tradizione.