IL PRIMO DISCO DEL SASSOFONISTA RUVESE VINCENZO DI GIOIA. L’INTERVISTA
Un talento da vendere quello del jazzista ruvese Vincenzo Di Gioia, classe 2003. Quella di oggi, per lui e per il suo genio, è una giornata speciale in quanto concretizza discograficamente i suoi sei anni di studio musicale. “I GOT MINOR. The red thread of March 12th” è infatti il titolo del suo primo disco in uscita proprio oggi: un vero sogno che si avvera e che Vincenzo, assieme alla sua passione, ci racconta.
Come nasce la tua passione per il sax e la musica in generale?
Suono il sax dal giugno 2015, esattamente sei anni, ma la passione per la musica nasce da tempo prima, dalla scuola media. Lì suonando il flauto dolce, iniziai ad appassionarmi cercando in rete altre cose da suonare anche abbastanza complesse per le possibilità dello strumento stesso. Chiaramente il mio professore di allora, Pino Caldarola, notò in me questo interesse e suggerì a me e ai miei genitori di intraprendere lo studio di uno strumento musicale in maniera più seria. Così dopo qualche ricerca sullo strumento che mi sarebbe piaciuto di più, al termine della prima media ho iniziato a suonare il sassofono.
Hai particolari ricordi legati alla musica?
No, non ci sono particolari ricordi, anche perché suono da appena sei anni, non è tanto, ma fortunatamente ho già raccolto diverse esperienze in ambiti musicali diversi, dalla banda in cui ho suonato quando ho iniziato gli studi, sino a progetti più importanti, come il disco.
Come è nato il disco?
Nasce dalla mia necessità di registrare dei brani in studio con il mio quartetto (composto dal mio sax alto, Francesco Schepisi al pianoforte, Pasquale Gadaleta al contrabbasso e Vincenzo Mazzone alla batteria) per partecipare a dei concorsi di musica jazz nazionali e internazionale ai quali mi ero iscritto. Il problema è stato che questi concorsi sono stati cancellati per via del covid e non sapevamo più che farcene di queste registrazioni ma, dato che, a detta dei miei colleghi musicisti e dell’ingegnere del suono che ha curato le registrazione, era materiale di un certo spessore e livello, sarebbe stato un peccato vanificare il lavoro. Per questo motivo abbiamo provato a realizzare un progetto discografico. Ho mandato il materiale alla casa discografica “DodiciLune”, tra le più importanti in Italia in ambito della musica jazz, e loro mi hanno risposto dopo circa due settimane; si sono dimostrati entusiasti del lavoro e sono stati disposti a realizzare questo progetto. Da lì è nato un vero rapporto con la casa discografica, abbiamo iniziato a sentirci più spesso, fin quando non siamo arrivati a concretizzare il tutto con l’uscita del disco.
Tra i brani registrati, uno è composto da me; gli altri non sono invece brani originali.
L’album ha significato preciso? Se si, quale?
Si. L’album va a riassumere il mio percorso musicale nell’ambito jazzistico. Principalmente, il tema è proprio quello del viaggio musicale, iniziato dal jazz tradizionale, e quindi da Charlie Parker e dal bebop, studiando e approfondendo quel tipo di linguaggio, fino ad arrivare alla composizione di miei brani originali in quello stesso linguaggio. Questo è spiegato anche nel sottotitolo del disco che tradotto è “Il filo rosso del dodici marzo” : sta ad indicare una sfumatura che mi piace tenere presente, ossia che Charlie Parker è morto nella notte del 12 marzo 1955 e io, invece, sono nato nella notte del 12 marzo 2003 e quindi mi piace pensare che io sia legato a lui per mezzo di questa data importante.
Ti saresti mai aspettato di incidere un progetto discografico?
In realtà, quando ho iniziato a studiare musica, l’idea di realizzare un progetto discografico era quasi irrealizzabile, la vedevo come qualcosa di molto lontano nel tempo. Mi aspettavo che se fosse accaduto, sarebbe accaduto dopo dieci o vent’anni di studio ed esperienze, e invece è andata diversamente da quanto mi aspettassi. Chiaro che nell’ultimo periodo questa cosa la sentivo sempre più vicina, sentivo che la possibilità di incidere si stava avvicinando e, alla fine, ce l’ho fatta in questo che considero sì un traguardo, ma soprattutto una partenza. Da ora si dà vita a un nuovo cammino.
Come ti vedi fra dieci anni?
Non è facile rispondere a questa domanda. Di certo non posso sapere dove e come sarò, ma è certo che sarò immerso in un mondo tutto musicale e quindi spero di potermi essere già dedicato all’insegnamento, di aver realizzato altri progetti discografici che ho già in mente, di poter vivere la musica in maniera quotidiana. Di certo, spero di aver raggiunto una maturità umana e musicale importante, realizzato quelli che non chiamerei sogni ma obiettivi perché sono del parere che è importante lavorare ogni giorno per farsi trovare pronti quando le occasioni arrivano. Ho questo tipo di certezze.
Chi ringrazieresti per questo inizio, allora?
Ho da ringraziare diverse persone che mi hanno aiutato ad arrivare a questo obiettivo. In questi sei anni, ho fatto diverse conoscenze che mi hanno permesso di fare esperienze nel mondo musicale e perciò ne ho da ringraziare diverse. Innanzitutto, prima di chiunque altro, c’è mio padre perché si è dedicato a me nell’ambito musicale da quando abbiamo iniziato; la vive con me quotidianamente; ogni scelta, che magari poi si è rivelata giusta, la devo a lui che è la mia guida da ogni punto di vista. Poi devo ringraziare assolutamente in Maestro Pino Caldarola per avermi fatto notare che la musica sarebbe stata la mia strada e dato la possibilità di suonare in diversi contesti, anche quando ero proprio agli inizi. Ringrazio, poi, il mio ormai amico Raffaele Mogrone poiché mi ha portato a Roma a studiare con Barry Harris nel 2018 e 2019. Lì, quell’esperienza è stata per me la chiave di tutto perché in quei giorni ho capito come dovessi studiare jazz. Per quanto riguarda il progetto in sé, devo assolutamente ringraziare i musicisti che mi hanno accompagnato in questa esperienza, Francesco, Pasquale e Vincenzo, Tommy Cavalieri che è l’ingegnere del suono del “Sorriso Studios” di Bari, i fotografi Nicola Martinelli e Gianni Castellana che mi hanno seguito per foto e video, e Maurizio Bizzochetti della “DodiciLune” che mi hanno dato fiducia e hanno creduto nel progetto così da realizzarlo.
Non resta allora che augurare il meglio a questo giovane talento ruvese. Vincenzo è la dimostrazione che l’umiltà e la dedizione spianano sempre e in meglio la strada da percorrere.