Attualità

IL DIARIO DI VIAGGIO DI GIULIO DI VITTORIO: GIORNI 6 E 7

Il diario di viaggio di Giulio Di Vittorio, impegnato nel Cammino di Santiago.

Cammino del Nord. Giorno 6/7. La notte, come prevedibile, è stata dura. Stesi sulla panchina di una chiesetta su una collinetta di Ribadeo, alle 4.35, suona la prima delle sette sveglie impostate (abbiamo il sonno pesante). Vari rinvii e al quarto/quinto decidiamo che sia il caso di iniziare ad alzarci poiché ci aspetta una tappa davvero dura, probabilmente la più dura visti i km (33) e visto il nostro stato psicofisico. Dovevamo raggiungere la cittadina di Lourenza. In tutto questo, per non farci mancare niente, diamo inizio a questa giornata con un vento molto forte e una pioggia battente. Aspettiamo che smetta di piovere e ci accingiamo a partire. Eravamo davvero messi male. Un’ora di sonno a testa, 15 ore di cammino il giorno precedente e una delle tappe più difficili da affrontare. Sono le 5.30 ed è ancora buio pesto. Decidiamo di fermarci a fare colazione alle macchinette 24h. Erano la nostra unica possibilità a quell’ora. Fatto rifornimento di cibo e acqua, ci incamminiamo verso la prossima tappa. Primo chilometro tranquillo ma poco a poco ci allontaniamo sempre di più dal paese per addentrarci nella campagna. A quel punto, uno dei tanti problemi (probabilmente il maggiore in quel momento) era la luce. Utilizziamo le torce del telefono e iniziamo a fare le prime salite che non ci fanno per niente bene. Un altro problema persistente, soprattutto a quell’ora col buio, era il vento gelido ma soprattutto fortissimo che spirava. Ora, immaginate un po’, nella nostra condizione fisica, a quell’ora del mattino e col buio pesto, come ci potessimo sentire a proseguire il cammino con un vento del genere. Ad un certo punto davanti ai nostri occhi si palesa uno scenario spettrale, quasi da film horror. Di fronte ci troviamo un viale pieno di alberi molto alti ma non troppo larghi che inquietano parecchio e che ci fanno dubitare se proseguire o meno il cammino, vista la forza del vento. Per fortuna poco dopo scorgiamo delle torce venire nella nostra direzione. Erano dei pellegrini italiani e, per essere un po’ più sicuri vista la situazione, proseguiamo con loro il cammino. Inizia ad albeggiare e il tratto di strada sul quale stiamo camminando è abbastanza pianeggiante e fresco. Dopo circa una mezz’oretta, il cammino si dirige verso la montagna. Erano circa le 8.30 e in lontananza scorgiamo un bar. Mentre ci avviciniamo ci rendiamo conto della notizia nefasta: era chiuso. Facciamo comunque una pausa visto la presenza di un paio di panchine e riprendiamo il cammino. Il sonno e la stanchezza fisica si facevano sentire prepotenti ed inoltre il sole iniziava ad alzarsi sempre più in alto. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Il tratto di montagna che stavamo percorrendo diventava sempre più ripido e duro da affrontare. Ovviamente alla fine di ogni salita rimaniamo paralizzati per circa 10 minuti per poi riprendere il cammino. La situazione va avanti così per circa un paio d’ore e nel frattempo si sono fatte le 11.30 ed avevamo praticamente raggiunto la cima della montagna (partendo dal mare di Ribadeo) percorrendo circa 20 km. Ovviamente, per fortuna, avendo raggiunto la vetta della montagna non potevamo più salire. Il panorama era bellissimo ma dovevamo “correre” il più possibile per arrivare in ostello e metterci a dormire, vista la situazione della sera precedente. Inizia un tratto in discesa e fortunatamente ci rendiamo conto che prosegue per molto (c’era da aspettarselo). Questo ci permette di accelerare di parecchio il nostro passo che, paradossalmente, aumenta ancora di più vista la forte motivazione che avevamo. Però siamo umani e alla fine della discesa lunghissima c’era un’altra salita. Dopo aver scritto il testamento per i nostri cari, iniziamo a percorrerla e ci rendiamo conto che è davvero tosta. I dolori alle piante dei piedi e alle gambe iniziano a diventare parecchio importanti e a metà della salita decidiamo di fare un’altra sosta. Ci sediamo su una panchina e nel frattempo vediamo degli altri pellegrini che proseguono “tranquillamente” il loro percorso. Ripresa la marcia, dopo circa 5 minuti, incontriamo un bar dove tutti i pellegrini si erano fermati per rifocillarsi (noi siamo alternativi e ci piace fare cose strane). Questo però ci permette di proseguire il cammino non rimanendo alla coda del gruppo e cercare di raggiungere l’ostello prima degli altri. Lourenza si avvicinava sempre più e convinti che ormai il grosso fosse fatto, non ci rendiamo conto che alla svolta di una strada, inizia un’altra salita. È stata la nostra morte. Era probabilmente la più ripida di tutte ma soprattutto la stavamo percorrendo sotto il sole delle 12. Eravamo davvero stremati, stanchi e affamati. Probabilmente il peggior momento di tutto il cammino fino ad allora. Ci diamo forza dicendo che mancasse poco e che arrivati in ostello avremmo potuto avere il meritato riposo. Facciamo uno sforzo disumano, lo sprint finale che ci permette di superare anche i pellegrini che erano davanti a noi e finalmente, paralizzati, arriviamo in ostello. Probabilmente se non si prova quello che abbiamo passato noi, non si può capire cosa sia arrivare in un ostello e mettersi sul letto. Era un misto tra dolore e gioia, stanchezza e felicità ma l’importante era esserci assicurati un letto per la notte. Ecco la notte. Fatta in fretta la doccia più bella della nostra vita (gli spostamenti dalla camera al bagno erano rigorosamente appoggiati al muro per non cadere..in pratica facevamo due metri in due minuti) e dopo aver pranzato e lavato gli indumenti (già perché ci toccava fare anche quello in quella giornata), intorno alle 17 circa ci mettiamo sul letto. Probabilmente non mi sono neanche reso conto di averlo fatto che sono caduto in un sonno profondissimo. Una chiamata intorno alle 23.30 mi fa tornare per un attimo nel regno dei vivi ma dopo 5 secondi contati, mi riaddormento. Il giorno prima avevo impostato le sveglie intorno alle 5 e, appena suona, sbarro gli occhi. Già perché se ognuno di noi appena sveglio ha bisogno di circa due ore per riprendersi, noi dopo aver dormito 12 ore di fila, non riusciamo più a stare con gli occhi chiusi. È l’alba di un nuovo giorno e tutto è più bello. I dolori lancinanti erano praticamente scomparsi, il sonno e la stanchezza un lontano ricordo ed eravamo felici di quello che eravamo riusciti a superare solo con le nostre forze. Già perché, senza presunzione, quello che abbiamo fatto non è roba da poco, assolutamente. Ed è proprio quello che ci siamo detti. Siamo davvero orgogliosi di essere andati oltre le nostre possibilità e aver superato i nostri limiti. Mangiato un boccone del pomeriggio precendete, ci avviamo felici verso la prossima tappa: Lourenza-Abadin 23 km e di media difficoltà. Eravamo riposati sia fisicamente che mentalmente e sentivamo che potessimo conquistare il mondo. Era tutta un’illusione. La tappa parte con una salita e l’acido lattico e lo sforzo immane del giorno precedente si sono fatti sentire. Nonostante questo, visti i momenti decisamente peggiori passati il giorno prima, ci facciamo forza e continuiamo abbastanza spediti. Continuiamo a camminare per circa un paio d’ore e sulla strada incrociamo un bar. Facciamo una sosta abbastanza lunga poiché volevamo riposarci e, soprattutto, perché ormai avevamo fatto pratica con i tempi e i ritmi del cammino e conoscevamo i nostri limiti. Ripartiamo dopo circa 45 minuti e poco dopo attraversiamo un paesino meraviglioso, Mondonedo, in cui c’era una festa medievale. Era inevitabile “perdere” altro tempo per il cammino ma visitare e fotografare quella perla ne valeva davvero la pena. Mercato in stile medioevale con i nostri attuali stand fatti di paglia e canne di bambù, fuoco e persone vestite con gli abiti dell’epoca. A conclusione di tutto c’era anche la cattedrale in stile rinascimentale che dava il giusto tocco a tutto l’ambiente. Rimasti estasiati da questo paese (ex capitale del regno di Galizia), ci rimettiamo in marcia verso la prossima tappa. Usciamo dal paesino e iniziamo ad incamminarci verso strade di montagna. Stranamente fino ad allora non avevamo avuto particolari difficoltà. Era andato tutto più o meno bene e ci sentivamo bene fisicamente. Continuamo a camminare e ci godiamo il paesaggio che ci circonda fatto esclusivamente di montagne e natura. Distese infinite di alberi e paesaggi da cartolina. Fortunatamente questa condizione continua per parecchi chilometri. Ci sentiamo bene fisicamente, la tappa non è dura e il paesaggio permette di ammirare le meraviglie paesaggistiche fino in fondo. Altra sosta in cui facciamo amicizia con un irlandese molto gentile che ci offre anche un dolce, sigaretta a pieni polmoni per non farci mancare niente e ripartiamo. Era tutto troppo tranquillo e prima o poi sapevamo che avremmo trovato qualcosa che non ci sarebbe piaciuto. E cosi è stato. All’orizzonte scorgiamo una salita che ci desta preoccupazione. E il nostro intuito non sbagliava. Era una salita molto ripida, con una pendenza parecchio elevata e soprattutto sotto il sole di mezzogiorno (è anche bene ricordare che lo zaino di 10 km gioca un ruolo molto importante nelle difficoltà del cammino ma soprattutto nelle difficoltà delle salite). Iniziamo a salire e ci rendiamo conto che è davvero dura. Varie pause e riprese e la salita si fa sempre più ripida. L’acido lattico del giorno precedente gioca un brutto ruolo in questa partita. Finalmente, dopo circa 45 minuti di salita, il cammino torna in pianura e possiamo procedere più spediti. Non mancava molto all’arrivo. Proseguiamo per un’altra mezz’ora e arriviamo, non troppo provati, nell’albergue di Abadin. Erano appena le 14 e avevamo tutta la giornata per rilassarci, sistemarci e riposarci. Facciamo tutto molto con calma. Pranzo in un ristorante del pellegrino con menù a 10 euro (davvero ottimo) e proseguio della giornata tra chiacchiere con altri pellegrini e momenti di puro relax. Verso le 20.30 ci concediamo il brivido di provare la movida di Abadin il sabato sera (questa cittadina era formata da una strada di 20 metri circa e nient’altro) bevendoci una birra in uno dei tre bar attaccati uno all’altro al centro di Abadin. Circa un’oretta dopo, rientro in ostello per assaporare l’ebrezza di andare a dormire alle 21.30 il sabato sera (non lo dimenticherò mai più). Sveglia alle 5.30 pronti per la tappa successiva Abadin-Vilalba.

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