Cultura

IL DIALETTO PUGLIESE, UNA ‘LINGUA NOBILE’: IL SAGGIO DI ANGELO TEDONE

In occasione della X Giornata Nazionale del Dialetto istituita dall’UNPLI APS, la Pro Loco di Ruvo di Puglia intende evidenziare l’importanza di questa “lingua” ritenuta voce della memoria con un contributo di Angelo Tedone, direttore della rivista Il Rubastino nonché studioso di dialettologia e autore della relativa grammatica. La Pro Loco si impegna di organizzare l’apposita giornata del dialetto già prevista per il 17 gennaio non appena le condizioni dovute alla pandemia lo permetteranno.

Da 10 anni il 17 gennaio viene celebrata la ‘giornata dei dialetti e delle lingue locali’ ideata dall’Unione nazionale Pro Loco Italiane (UNPLI) unitamente al concorso “Salva la tua lingua locale”. Obiettivo è quello di stimolare la creatività espressiva dei giovani attraverso la descrizione di racconti ed esperienze nella loro lingua locale. Una occasione unica per far rivivere le lingue regionali. Cerchiamo di conoscere le origini della ‘lingua’ della nostra regione.

La Puglia è caratterizzata, in ambito dialettale, da due sub-regioni distinte: la Puglia con le province di Foggia, BAT e Bari e il Salento con quelle di Brindisi, Lecce e Taranto. Da un punto di vista grammaticale si può affermare che nella sub-regione Puglia non esistono grosse novità di mutamenti fonetici tra un paese e l’altro, fatta eccezione per quei centri garganici separati da barriere naturali (monti) che hanno creato confini linguistici a causa di una mancata frequenza di rapporti. Comuni come Pietramontecorvino e Castelnuovo della Daunia pur essendo poco distanti tra di loro in linea d’aria sono però irraggiungibili così come Faeto, Celle S.Vito e Castelluccio Valmaggiore più vicini a quelli campani e molisani. La Capitanta, infatti, includeva, metà del territorio del Molise e zone del Sannio fino al XVI secolo.

Sono state le Università locali e i Casali, nei secoli XII e XIII a mantenere in vita tradizioni e parlate riscontrandovi differenze anche all’interno dei dialetti di uno stesso paese. Quando nel 1700 vi fu il grande rientro nelle città dai Casali (numerosi quelli di Bisceglie,) a causa dell’espandersi del fenomeno abigeato, furono ivi trasferite anche tradizioni e lingua creando un arricchimento dei lemmi coniati anche riferendosi a doti fisiche, mestieri, difetti di persone creando i soprannomi.

La scrittura dialettale come sistema per tramandare i lemmi può essere ‘scientifica’ e ‘banale’; la prima si avvale di segni diacritici che generano suoni consonantici particolari che permettono la lettura anche in altre Regioni; l’altra si avvale di pochi accenti (acuto e grave), di un trattino che sostituisce l’apostolo e della -e che rimane muta se non accentata. La novità del dialetto pugliese è attestata dalle numerose regole grammaticali in tema di vocalismo (tonico e atono) e consonantismo. Trattasi di vari fattori di fonetica non estensibili ad altri dialetti ma frequenti in Puglia: si pensi che nei 258 comuni della Regione, anche a distanza di tre o quattro chilometri, si riscontrano variazioni di dittonghi e quindi di pronuncia.

L’altra sub-regione ovvero il Salento risente della storia socio-culturale dell’antica Calabria. Durante l’XI secolo, con la conquista dei Normanni, il Salento perse la sua individualità amministrativa mentre durante l’unità nazionale divenne provincia con capoluogo Lecce. I confini con la sub -regione Puglia sono individuati dall’asse Taranto – Ceglie Messapica – Ostuni quindi i dialetti del Salento possono essere distinti in tre gruppi: settentrionali con varietà brindisina; del Salento centrale con varietà leccese; meridionale con varietà otrantina e gallipolina.

Esistono in Puglia e nel Salento le cosiddette ‘isole alloglotte’ ovvero territori comprendenti anche più comuni dove il dialetto è condizionato dalla lingua dei paesi dei fondatori o conquistatori. La Grecìa Salentina comprende nove comuni del leccese con Calimera capofila: qui si parla il griko ovvero lingua greca intrecciata con fonemi salentini. A Faeto e Celle S. Vito, nel subappennino dauno, si parla il franco-provenzale in quanto terra di provenienza dei conquistatori mentre a S. Marzano di S. Giuseppe, nel Tarantino, si parla l’albanese dal XV secolo quando alcune popolazioni dell’Albania si sistemarono in quei territori.

NEI SEGRETI DELLA LINGUA PUGLIESE

La ‘nobiltà’ del dialetto pugliese è attestata anche da rigorose regole grammaticali in tema di vocalismo (tonico e atono) e di consonantismo. Possono sembrare banali curiosità ma trattasi di veri fattori di fonetica non estensibili ad altri dialetti, anche in considerazione che in Puglia, a distanza di tre o quattro chilometri, si riscontrano lemmi autoctoni, variazioni di dittonghi e quindi di pronuncia.

A tal proposito, solo a Terlizzi, nel Barese per indicare -balcone viene usato il lemma -jefe, prettamente arabo mentre a Bitonto, Altamura e comuni murgiani è frequente l’uso dell’aggettivo -sckitte (solo) come sempre a Bitonto e paesi della conca barese, l’aggettivo -piccola esita in -peccuedde o -menonne.

Molto diffusa, nei dialetti di Puglia, è la cosiddetta fonologia di giuntura ovvero il pronunciamento di due parole che tendono ad amalgamarsi (figghi-a-maie!, figlia mia!); soffermandoci, poi, su alcuni plurali, è frequente l’uso del suffisso -re (ossere, ossa / acieddere, uccelli) mentre nei verbi di prima persona si ricorre all’aggiunta del suffisso -ke (parleke, lesceke, vesceke / parlo, leggo, vedo).

E il superlativo? Ebbene, nel dialetto pugliese, si ottiene rafforzando l’aggettivo (lunghe- lunghe, picche-picche /lunghissimo, pochissimo); si riscontra spesso anche il fenomeno dell’anticipazione per cui all’italiano farfalla corrisponde il lemma -fraffalle. Gran parte delle attività lavorative legate all’agricoltura e all’artigianato hanno come suffisso l’esito in -ore (lavannore, frennore ) mentre il plurale, alcune volte è dato dall’aggiunta del suffisso -re (discete/dito; descetere / dita).

Il dialetto pugliese è stato influenzato anche dalle condizioni socio-economiche del territorio, dalle attività che si svolgevano, da particolari eventi atmosferici per cui ancora oggi risultano di uso correnti parole arcaiche come -chitre (gelo), -negghiere (foschia), -capevinde (inghiottitoio), sanizze (terreno incolto) ma l’elenco si allarga anche a nomi di animali (tapandre, talpa), malattie (vetrane, scarlattina), cibi (spengetaure, companatico), mestieri (veccire, macellaio), qualità (canarute, goloso), oggetti di cucina (raricue, graticola).

Molti dittonghi sono presenti nel vocalismo barese: se a Molfetta la -i si trasforma in -ai (faiche/fico), a Bitonto si ha l’esito in -oi (foile/filo), a Ruvo e Castellana quello in -ei (neide/nido), a Bisceglie in -oi (maroite/ marito) Molto articolato è il fenomeno del consonantismo con radicali trasformazioni (padde /palla; vose/bacio; scile /gelo).

Si può quindi affermare che l’area barese è più uniforme di quella foggiana a causa della mancanza di confini naturali rappresentando quindi il centro di gravità di quello spazio linguistico che si espande anche nell’area garganica.

P:S. Nella descrizione dei vari dittonghi è stato utilizzato il dialetto rubastino dal momento che è più facilmente riconducibile agli altri dei centri del barese. Nel vocalismo, infatti, varia solo l’esito dialettale. Es. PACARE (lat. AD PACARE) abbakò (Ruvo e Bisceglie), abbake (Terlizzi) abbakòie(Bitonto),abbaka (Molfetta).

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