IL CROCIFISSO DELLA CHIESA DEL PURGATORIO: NUOVA LETTURA DI UN’OPERA D’ARTE
Approfondimento tematico realizzato dall’architetto Lidia Sivo.
Nella chiesa del Purgatorio in Ruvo di Puglia, si conserva un Crocifisso ligneo del 1967, opera di uno scultore di Ortisei, donato alla Confraternita di Maria SS. del Suffragio dalla benefattrice Berardi Filomena. E’ visibile allo spettatore nella prima nicchia, per chi entra in chiesa e dall’ingresso percorre la navata destra.
Si tratta di un’opera singolare nel suo genere che cattura l’attenzione del visitatore per qualche motivo indefinibile. Presenta infatti, delle difformità che lo rendono speciale, diverso. E’ come se trascendesse l’iconografia classica del Crocifisso. Probabilmente, per questo motivo, poiché ritenuto non conforme ai canoni classici stereotipati o forse addirittura perché pensato come l’esercizio poco felice di uno scultore che ha avuto difficoltà espressive, quest’opera è stata sempre poco valorizzata da rettori e prelati che si sono succeduti e fu riposto (oserei dire parcheggiato) in quella nicchia quasi consegnandolo all’oblio. Solo don Salvatore Summo, in qualità di rettore, ha voluto in qualche modo metterlo in risalto circondandolo con la cornice che adornava la storica tela del Suffragio del Plantamura, conservata sempre in questa chiesa. Durante le visite guidate, ci si sofferma più sulla vetusta cornice che sullo stesso Crocifisso, messo quasi ai margini rispetto alle emergenze artistiche e architettoniche presenti nel sacro edificio.
Questa strana percezione che si avverte al cospetto di quest’opera d’arte, unita alla curiosità di capire perché questo Crocifisso è così diverso, mi spinse tempo addietro ad indagare, cercando di compararlo con i grandi classici della storia dell’arte, giungendo però a conclusioni poco convincenti. Una chiave interpretativa differente giunse inaspettatamente ascoltando l’artista Max Di Gioia nel corso di una visita nella chiesa del Purgatorio, assieme al critico e storico dell’arte prof. Alberto D’Atanasio, durante il suo soggiorno nella nostra città d’arte.
I due si soffermarono parecchio sull’opera, osservandola a lungo e con estremo interesse. L’artista ruvese ribadì la necessità di porsi nei panni dell’autore, durante l’osservazione di un’opera d’arte, cercando di capire come è stata plasmata e interpretandone il messaggio recondito.
Ciò che colpisce, scrutando il nostro Crocifisso, è il fatto che esce fuori dai canoni di una certa cultura stereotipata. Dal punto di vista stilistico, in generale, il Cristo viene raffigurato in croce con la testa inclinata e rivolta spesso verso la ferita sul costato procuratagli dall’uomo e con il corpo appeso e abbandonato dalle forze. Il corpo del Cristo viene rappresentato quindi morto, subito dopo aver consegnato l’anima nelle mani del Padre. In questa nostra opera invece, secondo Di Gioia, il capo non risulta totalmente abbandonato. Le braccia e le mani appaiono senza forza e tensione, in procinto di cedere, a differenza della parte inferiore del tronco in cui l’autore dell’opera fa emergere l’ultimo sforzo del Cristo. La postura del costato appare estremamente contratta; le gambe si stagliano parallele alla croce e si confondono con essa. Il corpo del Cristo diviene esso stesso croce in uno schema perfetto. Nei piedi c’è ancora vita e questo si evince dal risalto che l’autore ha voluto dare ai tendini con acuto realismo: sono tesi in uno sforzo incredibile attorno al chiodo. Eccezionalmente il chiodo sorregge tutto il carico e diviene nodo cruciale della rappresentazione. Il Cristo spinge su di esso nel tentativo tutto umano di non cedere alla morte. Tutta l’effigie acquisisce un’aurea particolare. Il Cristo non è ancora morto e nel volto lascia trasparire tutta la tristezza dell’uomo cosciente, consapevole dell’ineluttabile epilogo della sua vita terrena; le sue mani e le sue braccia stanno cedendo, mentre l’addome è contratto quasi a voler trattenere l’anima, con la parte inferiore del tronco che vive ancora e reagisce con fatica alla morte corporale. Idealmente, quindi, in questo crocifisso si distinguono due parti: quella superiore abbandonata dalle forze, contrapposta alla parte inferiore che si oppone strenuamente al trapasso. Si tratta pertanto, della rappresentazione del Cristo nell’attimo prima di esalare l’ultimo respiro. E’ questa una raffigurazione molto particolare poiché sorprendentemente fa emergere un aspetto realistico del Cristo Uomo, che va incontro alla morte.
Riportando questa approfondita analisi, ho voluto pertanto, dare una lettura dignitosa di quest’opera d’arte, cercando di coglierne il pathos dell’autore che l’ha generata andando oltre i canoni convenzionali. Se si guarda con occhio incontaminato e pulito, tale messaggio diviene chiaro e leggibile. E’ questo un invito ad approcciarsi con meraviglia alle opere contenute nei nostri templi, scrigni di arte e di bellezza, e a guardare con rinnovato interesse il nostro patrimonio storico e artistico, valorizzandolo come merita.
Si, Ruvo è proprio città d’arte!
Lidia Tecla Sivo