“Il caporalato e i ghetti riguardano anche noi italiani!” denuncia Leonardo Palmisano autore di “Ghetto Italia”.
Durante la presentazione del libro “Ghetto Italia” di Leonardo Palmisano e Yvan Sagnet che si è svolta ieri nel Centro Interculturale per Migranti sono emerse ferite che riguardano anche la collettività italiana.
Perché il bagaglio di sofferenze, umiliazioni, angherie subite dai lavoratori migranti che raccolgono pomodori, angurie, agrumi e uva nei campi del Sud, o lavorano come carpentieri, di notte, nei cantieri del Nord – sì, perché la costruzione a velocità supersonica dei palazzi non è solo frutto dell’efficienza ereditata dal dominio austroungarico ma si fonda sul lavoro nero, notturno e sottopagato degli immigrati e degli italiani esclusi dal circuito lavorativo per leggi scellerate di indifferente colore politico – è stato portato anche dai nostri connazionali tantissimi anni fa, quando migravano, per esempio, a Torino con la valigia di cartone e dovevano sopportare l’umiliazione di vedere case in affitto con il cartello “Non si affitta a meridionali”, oppure migravano in Belgio per lavorare duramente nelle miniere (ricorda qualcosa Marcinelle?).
All’incontro, organizzato dall’Associazione La Mancha e da Arci di Ruvo di Puglia, hanno partecipato l’Assessora alla Cultura Monica Filograno, il sindaco Pasquale Chieco e uno degli autori, il sociologo Leonardo Palmisano che ha tracciato un quadro impietoso della situazione lavorativa in Italia. Disoccupazione che favorisce il lavoro nero che riguarda tutti, immigrati e italiani. Disoccupazione che favorisce la schiavitù: l’Italia è il secondo Paese al mondo dove impera, nascosto ma non poi tanto, questo fenomeno.
Un lavoro nero che è erogato dai caporali al Sud attraverso agenzie interinali di lavoro, lavanderie di investimenti e proventi illeciti. Perché il caporalato si sta istituzionalizzando, sta diventando immacolato e realtà agricole aziendali linde, strozzate da una pressione fiscale notevole e non aiutate da leggi efficaci, stanno cedendo ai ricatti dei clan mafiosi e quindi stanno digradando verso il nero.
“Ma il caporalato, la schiavitù che vanno a gonfiare ghetti, zone dove lo Stato non c’è, si nutrono dell’assenza di lavoro e del lavoro sottopagato. Non dimentichiamo che i grandi cartelli in agricoltura impongono al mercato prezzi bassi perché non vengono riconosciuti i diritti sociali ed economici non solo dei lavoratori ma anche dei fornitori, di coloro che conferiscono prodotti (vedi i viticoltori!). E questo io lo ripeto incessantemente alla Presidenza della Regione Puglia” dichiara Palmisano.
“Il Senato ha approvato il disegno di legge che combatte il caporalato in agricoltura, ma bisogna combatterlo in ogni settore” prosegue il sociologo.
I ghetti sono abitati da immigrati di colore, da extracomunitari europei, e in essi impera il fallimento delle politiche governative italiane ed europee. Prostituzione, mancanza di istruzione, mancanza di servizi igienici: il ventre putrefatto delle nostre città. Contro cui si scagliano altri disperati, gli italiani che stanno perdendo sempre più diritti. Una specie di guerra tra poveri. Ma gli italiani che combattono contro gli immigrati accusati di portare via il lavoro, devono considerare che la lotta al caporalato coinvolge anche loro. Basti citare un nome per tutti, Paola Clemente, una bracciante agricola di Andria morta il 13 luglio 2015 per un infarto a causa delle insostenibili condizioni di lavoro nei vigneti. Paola Clemente era una bracciante agricola senza diritti, esclusa dal lavoro, dai diritti previdenziali. Era italiana.Della sua morte sono colpevoli i caporali ma anche uno Stato assente, di qualsiasi colore politico.
Quindi lottare contro gli immigrati non ha senso, tanto più che essi hanno avuto il coraggio di ribellarsi, come è accaduto con Yvan Sagnet, ingegnere fuggito da un Paese in guerra che da Torino è giunto a Nardò per raccogliere pomodori, sotto un sole cocente e per dodici ore consecutive. Come è accaduto con gli immigrati di Rosarno nel 2010, la cui ribellione è stata documentata nel corto “Il sangue verde” di Andrea Segre, proiettato subito dopo l’incontro con Palmisano.
Eppure la convivenza pacifica, rispettosa dei diritti umani, è possibile: basti seguire l’esempio di Riace, in Calabria, nel Sud, come documentato ne “Il volo” di Wim Wenders, suggerito dall’assessora Filograno.
Ci si è augurato che al prossimo incontro possano partecipare anche gli immigrati che abitano a Ruvo di Puglia: magari questo sarebbe possibile pubblicizzando l’evento nella lingua internazionale o, ancora meglio, nella loro lingua.