“I colori della luce” e i canoni prestabiliti nell’arte
“I colori della luce”, collettiva di giovani artisti inauguratasi ieri sera nella Pinacoteca Comunale di Arte Contemporanea a Ruvo di Puglia che la ospiterà sino a giovedì 29 settembre, è effettivamente un’esplosione di luci e colori imprigionati in tele e qualche scultura che riproducono i grandi Maestri, come il “Tondo Doni” di Michelangelo e il “Bacco” di Caravaggio, foto in bianco e nero di celebrità come Chaplin, “il Cielo Stellato” di Van Gogh.
Sono esposti anche ritratti, sirene in attesa di sedurre malcapitati marinai, nudi di donna e raggi di sole che si fanno largo tra ulivi.
Gli autori sono giovani artisti iscritti all’Associazione Culturale “I colori dell’anima” che a Molfetta intende valorizzare l’attività artistica culturale e la “bottega” di medievale e rinascimentale memoria, quale fucina di nuova talenti che imparano le tecniche artistiche sotto la guida dei Maestri.
In questo caso il Maestro è Filippo Cacace che ha dato un saggio della tecnica “a grisaglia” con un ritratto in contemporanea a una sua allieva, Natalia Raguseo.
All’inaugurazione sono intervenuti il dott. Francesco Picca, direttore della Pinacoteca Comunale, l’Assessora alla Cultura Monica Filograno, i professori Giovanni Capurso e Pasquale Conserva.
“Vedere e osservare implica conoscenza e un pizzico di intelligenza” ammonisce il prof. Conserva per il quale un’opera d’arte è tale se esprime un racconto, un impianto strutturale e l’emozione. Il quadro, per Conserva, è un’opera che ha impatto visivo immediato e oltre a possedere quelle tre caratteristiche deve anche avere una dose di mistero. E requisito indispensabile, per Conserva, è lo studio della materia.
“Si devono conoscere le tecniche anche perché molti giovani pensano di essere degli artisti senza avere un bagaglio tecnico alle spalle. Assistiamo al sorgere di avanguardie e transavanguardie. Molti giovani sono stati rovinati da alcuni sedicenti maestri di tali correnti” ha tuonato il prof. Capurso.
Qualche considerazione personale.
Senza dubbio è importante conoscere le tecniche ma credo che non sia requisito indispensabile per fare Arte.
Penso a un pittore della Corrente Naïf, Antonio Ligabue, in bilico tra follia e creatività. Vagava, solitario e inselvatichito, tra le golene del Po e i boschi nei pressi di Gualtieri, vicino Reggio Emilia, terra d’origine di suo padre, disegnando e creando sculture in argilla. Le sue uniche scuole erano stati l’istituto per ragazzi difficili a Marbach in cui lo avevano internato e la clinica psichiatrica di Pfafers. I suoi erano disegni primordiali, che esprimevano il suo grido interiore, le sue paure, le sue pulsioni. Nell’inverno del 1928 e 1929 incontrò Marino Mazzacurati, pittore e scultore, che lo incoraggio a proseguire nella sua attività artistica e gli insegnò la tecnica della pittura a olio. Ecco, Mazzacurati aveva visto in un “ignorante”, in un “reietto”, un artista; aveva visto in Ligabue la capacità di “vedere”, di penetrare il mistero della Vita che non presuppone necessariamente la ragione.
“Vedere e osservare implica conoscenza e un pizzico di intelligenza” se riferito all’artista tale espressione è valida nel momento in cui si intende per conoscenza e intelligenza la capacità di penetrare nella Vita e di coglierne il senso. A prescindere dalle tecniche.