Grano kazako deprezza quello italiano. Cia Puglia: “Una vergogna”
Il grano canadese venduto a oltre 500 euro alla tonnellata, il duro italiano che alle Borse Merci di Bari e di Foggia continua ad attestarsi attorno o addirittura sotto i 400 euro con quotazioni da fame. Poi ci sono le navi cariche di frumento kazako a prezzo stracciato (dopo quello turco) che continuano ad arrivare nei porti italiani per tenere basso il valore riconosciuto ai produttori italiani. “C’è un’inaccettabile situazione di stallo sulle quotazioni del grano duro italiano, col segno in ribasso a campeggiare ormai da oltre 12 mesi in maniera quasi interrotta”, dichiara Gennaro Sicolo, presidente di CIA Puglia e vicepresidente nazionale di CIA Agricoltori Italiani. “La nostra”, rivendica Sicolo, “è stata e continua a essere l’organizzazione che con più determinazione si sta battendo in difesa della filiera italiana grano-pasta, a tutela sia dei produttori del Paese sia dei consumatori”. “Una pressione che ha portato in questi giorni ad alcune promesse e dichiarazioni d’intenti da parte del Governo, due in particolare: la prima riguarda la definitiva istituzione della CUN, la Commissione Unica Nazionale sul prezzo del grano; la seconda è una generica disponibilità a valutare, nelle prossime settimane, l’attivazione delle misure previste nel quadro di Granaio Italia”, aggiunge Sicolo, “il tempo, però, è inesorabile, e concretamente la situazione non accenna a migliorare. Ai consumatori chiediamo di leggere bene le etichette e di acquistare e consumare esclusivamente pasta realizzata al 100% con grano italiano. La sovranità alimentare si difende innanzitutto a partire dalle nostre scelte consapevoli al supermercato”.
“A FOGGIA NON SVENDIAMO”. “Il quadro resta estremamente negativo”, conferma Angelo Miano, presidente provinciale di CIA Capitanata. “Con le attuali quotazioni, i produttori cerealicoli pugliesi e quelli italiani in generale tendono a non vendere, a ritardare l’immissione sul mercato del grano duro made in Italy. Il problema, infatti, sono i costi di produzione. Nelle zone collinari, in special modo, e in tutti i terreni che per le loro caratteristiche portano a rese quantitative limitate, il valore attualmente riconosciuto al grano duro italiano è ben lontano non solo dal poter assicurare redditività ma anche dal coprire almeno i costi di produzione”.
ANCHE BARI E BAT IN DIFFICOLTÁ. Non solo il Foggiano, “anche nell’Area Metropolitana di Bari e nella provincia Barletta-Andria-Trani i produttori cerealicoli sono in grandissima difficoltà”, spiega Giuseppe De Noia, presidente di CIA Levante, “per la tempesta perfetta che si è abbattuta sul settore: basse rese quantitative dovute ai cambiamenti climatici, costi di produzione esorbitanti, quotazioni al ribasso e insufficienti a garantire una pur minima redditività”. “Ed è per questo che sia a Foggia nelle scorse settimane, sia al Porto di Bari alcuni giorni fa, i cerealicoltori pugliesi riuniti dalla nostra organizzazione hanno manifestato compatti, esprimendo non solo una forte e civilissima protesta ma anche una serie di proposte per affrontare la situazione. Se la situazione resta quella attuale, torneremo a protestare ancora con più forza”.
FERMARE LE SPECULAZIONI. “Porteremo le nostre proposte, l’indignazione e la dignità della cerealicoltura italiana davanti al Parlamento”, annuncia il presidente regionale Sicolo, “non ci fermiamo, non possiamo farlo, perché se il Governo continua a ignorare il grido d’aiuto che proviene dall’agricoltura italiana rischiamo che il fior fiore del made in Italy di questo Paese, che deriva innanzitutto dal comparto primario, venga impoverito e diventi qualcosa di contraffatto dalla concorrenza al ribasso di tante nazioni alle quali si permette di produrre con standard di lavoro, sicurezza e qualità nettamente più bassi di quelli italiani”.
LA PETIZIONE. “La nostra petizione nazionale (https://chng.it/zVC8sWyT75) ha superato le 72mila firme. Esortiamo i cittadini a firmare questa petizione, arriviamo a 100mila firme per dare forza alla piattaforma di misure che assicurino trasparenza sui mercati, tracciabilità vera e puntuale della provenienza e la sicurezza alimentare del grano utilizzato per produrre la pasta. Non molliamo, perché la battaglia è lunga ma dobbiamo continuare a combatterla per la salute e il futuro dei nostri figli, l’avvenire della nostra agricoltura, la nostra sovranità alimentare concreta, reale, non soltanto sbandierata sulla targhetta di un Ministero”.