Giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’impegno della Caritas diocesana
Sono passati oltre 30 anni dall’adozione della Convenzione ONU che per la prima volta ha riconosciuto i bambini soggetti titolari di diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici, e continua ad essere sempre più attuale ed allarmante la questione della tutela e protezione dell’infanzia.
Il 20 novembre, insieme all’adozione della convenzione, adottata nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991, si celebra la Giornata Mondiale dei diritti dei bambini e delle bambine, poiché è grazie all’adozione e ratifica di questo documento che in quasi tutti i Paesi del mondo i bambini non solo godono dei diritti fondamentali, ma possono e devono beneficiare di protezione e tutela da parte degli Stati.
La Caritas Diocesana di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, grazie all’impegno costante del centro socio educativo “La Casa di Santa Luisa” in Terlizzi ed il centro aperto polivalente “Carlo Acutis” in Giovinazzo, promuove oggi 20 novembre una serie di iniziative volte alla sensibilizzazione sul tema dei diritti dell’infanzia.
Nell’ambito dei tanti laboratori ludici e ricreativi all’insegna del diritto al gioco, all’inclusione, alle relazioni sociali, saranno diffuse indicazioni sulla condizione dei bambini in Italia e nel mondo.
Il Gruppo di monitoraggio sull’attuazione della Convenzione, organizzazione di cui fa parte anche Caritas Italiana, ribadisce chiaramente che anche l’Italia non è ancora un “paese per bambini”: da anni si dice che l’Italia non sia un Paese per i più piccoli e, dopo qualche decennio di lento declino, sembra quasi diventato un luogo in cui l’infanzia è “a rischio estinzione”.
Nel 2021 in Italia poco meno di 1,4 milioni di bambine e bambini, ragazze e ragazzi si sono trovati in una situazione di povertà assoluta. Un numero mai raggiunto da quando, nel 2005, ISTAT ha iniziato a misurarla. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori peggiora di 3 punti rispetto al 2019, prima del covid. Oggi nel nostro Paese un bambino rischia molto di più rispetto ad un adulto e moltissimo di più rispetto ad un anziano di vivere condizioni di povertà severa e perdurano i grandi divari territoriali in fatto di povertà minorile, non solo tra Nord e Sud, ma anche tra territorio e territorio lungo la nostra Italia.
Parlare di povertà dei bambini, significa inevitabilmente parlare di povertà delle famiglie.
Le famiglie con minorenni in povertà̀ assoluta sono oltre 762mila, con un’incidenza del 12,1% che aumenta al crescere del numero di figli minori, toccando il 20,1% per i nuclei con tre o più figli minori e tra le famiglie monogenitore con minorenni (11,5%).
Pesano sulle condizioni di povertà la condizione lavorativa e la cittadinanza. La percentuale delle famiglie straniere con minorenni, infatti, in condizione di povertà̀ assoluta è oltre 4 volte quella degli italiani (36%).
Altre dimensioni restituiscono più chiaramente l’immagine multidimensionale delle vulnerabilità dei minori in povertà: la povertà alimentare (nel 2020 il 2,8% dei minorenni non consuma un pasto proteico al giorno, con enormi divari territoriali), la povertà abitativa (nel 2019, il 41,6% dei minorenni viveva in abitazioni sovraffollate), la povertà educativa con la preoccupazione per un ulteriore learning loss connesso alla situazione pandemica.
I dati, ampiamente illustrati nel 12° Rapporto del Gruppo CRC trovano conferma nel recente rapporto di Caritas Italiana su povertà ed esclusione “l’anello debole”, nel quale è stato particolarmente investigato lo scandalo della povertà ereditaria, dei cosiddetti “pavimenti e soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”, ovvero le scarse possibilità per chi si colloca nelle posizioni più svantaggiate della scala sociale di accedere ai livelli superiori.
Secondo lo studio condotto su un campione rappresentativo di beneficiari Caritas, il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica per chi proviene da un contesto familiare di fragilità è di fatto molto alto. Complessivamente nelle storie di deprivazione intercettate, i casi di povertà intergenerazionale pesano quasi 6 volte su 10.
Il nesso tra condizione di vita degli assistiti e condizioni di partenza si palesa su vari fronti oltre a quello economico ed in particolare nell’istruzione. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare).
Non si può non percepire dunque l’urgenza di una riflessione condivisa sul tema dell’ereditarietà della povertà.
CHE FARE?
E’ importante insistere su un approccio non meramente assistenzialistico, ma puntare su quei fattori che possono giocare un ruolo determinante per invertire le traiettorie di povertà che sembrano già segnate.
Oculate politiche sociali possono contrastare le disuguaglianze e tracciare concreti percorsi per favorire una maggiore equità e giustizia sociale, a partire dall’attenzione per l’istruzione e il sostegno delle fragilità.
Edgardo Bisceglia
vicedirettore Caritas dicoesana