Displasia congenita dell’anca, in Puglia alta incidenza. Al Giovanni XXIII di Bari team qualificato per interventi nelle prime settimane di vita
In Puglia 3 bambini su 1000 nascono con la displasia congenita di anca. Nella nostra regione c’è, infatti, una incidenza più elevata che nel resto d’Italia che segna 1% dei casi diagnosticati alla nascita. Si tratta di uno sviluppo anomalo dell’articolazione dell’anca che porta gradualmente la testa del femore a “slittare” sull’anca con conseguenze che, se non vengono corrette subito dopo la nascita, portano alla disabilità.
L’unità operativa di ortopedia e traumatologia pediatrica dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari è un centro di riferimento regionale per lo screening ecografico di secondo livello ed è l’unico centro dove viene effettuate il trattamento della patologia a 360°.
Nel 2022 sono stati eseguiti 19 invertenti di riduzione di lussazione congenita dell’anca dall’equipe diretta dalla dottoressa Daniela Dibello che spiega come sia fondamentale eseguire l’ecografia di controllo e intervenire entro le prime 6 settimane di vita se si vuole garantire al piccolo la migliore possibilità di guarigione. Dell’ambulatorio per gli screening ecografici il responsabile è dottor Antonio Colella.
“Sottoporre i neonati all’ ecografia è indispensabile – evidenzia la dottoressa Dibello – La sola visita con la manovra di Ortolani o Barlow non è sufficiente per escludere tale problema nelle fasi iniziali di vita. Le conseguenze di un errore sono gravissime: una displasia non curata può portare ad avere un arto più corto dell’arto, una zoppia o un artrosi molto dolorosa da adulti fino alla necessità di sostituire la parte malata con una protesi”.
Nei casi più lievi la cura non è complicata e dà ottimi risultati. Per correggere la displasia dell’anca si impiega un divaricatore che è una sorta di imbragatura, simile a quella per andare in montagna, con due supporti per le cosce che tengono le gambe del bimbo leggermente distanziate e flesse. Questo strumento serve per ripristinare la giusta posizione della testa del femore nell’acetabolo e garantire lo sviluppo corretto dell’articolazione.
Nei casi più gravi c’è la necessità di confezionare un apparecchio gessato preceduto a volte da alcuni giorni di trazione degli arti a letto. Il controllo del corretto posizionamento della testa del femore viene effettuato con la risonanza magnetica. Qualora gli interventi incruenti non fossero sufficienti il piccolo deve essere sottoposto ad interventi chirurgici fino all’osteotomia di femore o di bacino.
Un percorso non facile da affrontare per gli stessi genitori, come testimonia la mamma di Laura che ha colorato di verde il gesso della sua piccola, richiamando una simpatica ranocchia e raccontando per il concorso “Calma e Gesso”, promosso dalla stessa ortopedia pediatrica del Giovanni XXIII, il percorso che ha affronto subito dopo la diagnosi della patologia che non deve essere “vissuta come fosse un tabù o una vergogna da nascondere”.
Per supportare le famiglie per lo stress emotivo durante la cura di questa patologia è attivo l’affiancamento del servizio di psicologia dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII.