CORREVA L’ANNO 2016: INTITOLATO A ROSARIO BERARDI IL CENTRO POLIFUNZIONALE DELLA POLIZIA DI STATO
Era il 20 giugno 2016 quando, in quel di Bari, si svolse la cerimonia di intitolazione del Centro Polifunzionale della Polizia di Stato al maresciallo ruvese del Corpo delle Guardie di P.S., Rosario Berardi, ucciso nel 1978 dalle Brigate Rosse.
Rosario Berardi, nato a Bari nel 1926, Medaglia d’Oro al Valor Civile e Medaglia d’Oro di Vittima del Terrorismo, visse a Ruvo di Puglia prima di entrare, nel 1948, in Polizia.
Svolse, nel 1970, il servizio di Polizia giudiziaria presso l’ufficio politico della Questura di Torino e, nel 1974, fu comandante della squadra della Polizia giudiziaria del Nucleo speciale antiterrorismo. In quegli stessi anni, inoltre, si rese autore di numerosi arresti e indagini nell’ambiente eversivo dell’estrema sinistra che determinarono, tra le altre, la scoperta del covo torinese dell’associazione terroristica.
Il suo omicidio, avvenuto la mattina del 10 marzo 1978, avvenne alla vigilia del processo, in corso nel capoluogo piemontese, contro il “nucleo storico” delle Brigate Rosse. E così, mentre nella capitale si preparava l’agguato al cuore delle istituzioni, con il sequestro di Aldo Moro, a Torino i brigatisti compivano un ennesimo attentato contro un uomo dello Stato, diffondendo paura e terrore nella città.
Quella mattina, il maresciallo a capo del posto di polizia periferico di Porta Palazzo a Torino uscì di casa intorno alle ore 07:45, così come faceva ogni giorno, per dirigersi, a piedi e in borghese, verso largo Belgio, lì dove vi era la fermata dei tram delle linee 5 e 7.
Dall’altra parte della strada, in sosta in un’autovettura modello Fiat 128 blu, un commando armato di quattro persone, tre uomini e una donna, attendevano l’arrivo di Berardi. Non appena lo stesso sopraggiunse nei pressi della fermata, due di loro scesero dall’autoveicolo e iniziarono immediatamente a sparare contro il maresciallo che fu attinto da tre colpi di arma da fuoco alla schiena. Nel vano tentativo di ripararsi istintivamente il volto con le mani, Berardi fu raggiunto da altri quattro colpi al capo e alle braccia che ne determinarono la morte.
Nel frattempo, un terzo uomo, nell’avvicinarsi agli altri complici, minacciò con il suo mitra le altre persone presenti sul luogo dell’agguato. In quegli attimi concitati e pieni di terrore, uno degli attentatori, prima di darsi alla fuga, riuscì anche a raccogliere il borsello del maresciallo con all’interno la pistola d’ordinanza, i suoi documenti d’identità e un’agenda con i nomi e i numeri dei suoi colleghi.
Un’ambulanza giunta sul posto nell’immediatezza dei fatti trasportò la vittima presso l’ospedale Molinette dove non si poté far altro che constatarne il decesso. Alle ore 8:35 circa, dopo l’arrivo del sostituto procuratore di turno, Vittorio Corsi, con una telefonata anonima all’agenzia ANSA, le Brigate Rosse rivendicarono l’agguato. Due giorni dopo, nel pomeriggio del 10 marzo 1978, l’organizzazione terroristica diffuse ufficialmente il comunicato di rivendicazione.
Le indagini sull’assassinio di Berardi si rivelarono sin da subito molto difficili. I primi nomi divulgati in merito ai possibili responsabili dell’agguato si rivelarono ben presto del tutto errati. Un’importante svolta avvenne solo nel 1980 quando i carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa procedettero all’arresto di Rocco Micaletto, membro del Comitato Esecutivo delle Brigate Rosse, e Patrizio Peci, uno dei dirigenti più esperti della colonna “Margherita Cagol-Mara”. Fu proprio quest’ultimo, infatti, che dopo aver deciso di collaborare con gli inquirenti, fornì agli stessi una serie di informazioni utili relative all’organizzazione terroristica e alla singole azioni criminose dalla stessa perpetrate, ivi inclusa quella dell’omicidio di Berardi, cui lo stesso aveva personalmente partecipato.
Secondo il racconto dello stesso, il maresciallo, nei giorni precedenti all’agguato, fu ripetutamente pedinato dal commando che ne studiò attentamente le abitudini di vita. I brigatisti, infatti, erano seriamente preoccupati per le difficoltà pratiche legate alla realizzazione dell’attentato, temendo anche una pronta reazione della vittima, cosa che invece non accadde. Proprio per fronteggiare tale evenienza, l’organizzazione criminale decise non solo di avvalersi di un nucleo armato particolarmente esperto e preparato ma anche che a compiere materialmente l’attentato fossero contemporaneamente due brigatisti e non solo uno, come di consueto.
Il commando che stroncò la vita del maresciallo Berardi a soli 52 anni, si appurò nel corso del processo, era costituito da Cristoforo Piancone “Sergio”, Vincenzo Acella “Filippo”, Patrizio Peci “Mauro” e Nadia Ponti “Marta”. Quella mattina, stando al racconto di Peci, fu proprio quest’ultima che, dopo aver individuato tra la gente il maresciallo, lo segnalò agli altri brigatisti, avvertendoli che l’uomo si stava incamminando verso la fermata. Non appena gli altri lo videro, mentre Peci, pronto ad intervenire, si posizionò con il suo mitra sul marciapiede del tram, Piancone e Acella iniziarono immediatamente a sparargli contro. Dopo l’agguato, nonostante la confusione generata dell’esplosione dei colpi, i tre terroristici riuscirono a raggiungere la Fiat 128 blu, alla cui guida vi era Nadia Ponti, facendo perdere le loro tracce.
Eccezion fattasi per Patrizio Peci che, così come previsto dalla legge, beneficiò dei benefici previsti per i collaboratori di giustizia, gli altri tre brigatisti, a seguito del processo, furono condannati all’ergastolo.