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Convegno “Scuola: ultimo atto”. Forti critiche alle prove Invalsi e delusioni per i percorsi di alternanza scuola-lavoro

Quello che è emerso ieri, nella Sala Conferenze di Palazzo Caputi, durante il dibattito dedicato alle ormai “famigerate” prove Invalsi e al percorso di alternanza scuola-lavoro, introdotto dalla legge 107/2015 (la “Buona Scuola”), è un quadro sconcertante a giudicare dalle testimonianze dei numerosi relatori invitati dalle giovani leve del Partito di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea Circolo “Dino Frisullo” e dall’Associazione Prolet.

L’evento “Scuola: ultimo atto – dall’alternanza scuola-lavoro alle prove Invalsi” è stato organizzato in collaborazione con l’Associazione AEDE, rappresentata dalla professoressa Pia Olivieri, moderatrice di un dibattito che ha visto confrontarsi Pierdomenico Di Terlizzi, segretario cittadino PRC, i docenti Isa Cantatore, Corrado De Benedittis e Pasquale Menduni, l’imprenditrice Marina Mastromauro, la psicologa Carmen Maroccia, la dottoressa Antonella Vulcano, segretaria provinciale FLC-CGIL, la giovanissima Gadifa Akremi (classe ’99), Mauro Ceglie e Antonio Minafra i quali vivono, attraverso i propri figli, le discrepanze di un progetto che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe rilanciare la Scuola, sempiterno cavallo di battaglia di ogni politico in occasioni di consultazioni elettive.

«Lo scopo di questo incontro e di tanti altri incontri è quello di generare una coscienza critica nel cittadino – spiega Di Terlizzi – e la coscienza critica deve essere sviluppata sin da piccoli, nella scuola. Ma la Scuola, allo stato attuale, garantisce questo processo?».

No, a quanto pare, e, a giudicare dalla testimonianza di Isa Cantatore, insegnante della Scuola Elementare “Giovanni Bovio”, sul banco degli imputati salgono le prove Invalsi a cui lei e i genitori dei suoi alunni hanno contrapposto una disobbedienza civile, non entrando in aula il giorno del test. Decisione presa e attuata in solitudine, perché si sta assistendo a un avvilimento dello spirito combattivo degli insegnanti, categoria professionale bistrattata in Italia sin dall’Ottocento oserei dire (basti leggere la descrizione della misera stanzetta in cui il Maestro Pierboni giace ammalato nel romanzo “Cuore”). «Io non ho sobillato i genitori – racconta Isa Cantatore – come mi hanno accusato di aver fatto, durante un collegio docenti che si è trasformato, di fatto, in un processo. Ho deciso di non entrare in aula per le prove Invalsi ma i genitori, in autonomia, hanno seguito il mio esempio non consentendo ai ragazzi di farlo. Ritengo che le prove Invalsi, nate per aumentare la produttività (obiettivo non raggiungibile in quel modo, secondo me) per il loro essere standardizzate, uccidano lo spirito critico, la creatività. Come si può impedire a un bambino, curioso e vivace, di girare il foglio sul cui frontespizio è riportato l’ordine di non voltare pagina sino a quando non lo dice il maestro? Come si può impedire a un bambino l’uso del dizionario quando gli è stato insegnato a consultarlo ogni volta che ci si trova dinanzi a una parola sconosciuta? Perché impedire l’uso dei colori, utilizzati in classe per risolvere problemi matematici? Perché far rispondere loro a domande con sterili crocette? Ma la cosa più grave è che le prove Invalsi escludono la partecipazione degli alunni diversamente abili, mandando a monte cinque anni di insegnamento e dialogo reciproco. Per questo abbiamo protestato in piazza con i piccoli “O tutti o nessuno”. Ma a fronte di questo rigore c’è la diminuzione delle ore dedicate all’insegnamento dell’italiano e della geografia. Sono avvilita perché manca una forte rappresentanza sindacale e c’è molta disillusione tra gli insegnanti».

Le fa eco il professor Menduni che aggiunge come le prove Invalsi mirino soprattutto a incentivare una poco sana competitività e tra docenti e tra scuole e nella eterna competizione tra Nord e Sud Italia, chi paga il conto è il Meridione alle cui scuole sono assegnate meno risorse.

Illuminante anche l’intervento della psicologa Carmen Maroccia: «Le prove Invalsi non tengono conto della ricca diversità di ogni classe. E, a proposito della esclusione dei ragazzi diversamente abili, ritengo che essa sia un errore perché le prove Invalsi escludono la relazione che favorisce l’apprendimento. La relazione si nutre di parole che sono vissuto, sentimento e creano mappe neuronali che favoriscono la conoscenza e l’apprendimento, la più grande opera dell’umanità».

La seconda parte del dibattito è stata dedicata al percorso di alternanza scuola-lavoro che dura 400 ore negli istituti tecnici e 200 ore nei licei. L’imprenditrice Marina Mastromauro spiega che la sua azienda (famoso pastificio) ha sempre aperto le porte alla Scuola, ancor prima che si parlasse di percorso alternanza scuola-lavoro. «Si tratta di un percorso molto importante, dove i ragazzi entrano nel mondo del lavoro e cominciano a rendersi conto di come quello che apprendono a scuola sia utile anche in quel contesto. Seguiamo studenti, stagisti sin dal loro ingresso nell’azienda, non li abbandoniamo: anzi, è capitato che qualche ragazzo indicato come un po’ lavativo, in azienda abbia ripreso la motivazione a studiare. Noi, come aziende, chiediamo alle scuole di studiare preventivamente percorsi ad hoc per ogni studente affinché ci sia reciproco arricchimento. E poi chiediamo un costante confronto con i tutor scolastici».

Mauro Ceglie, genitore e imprenditore, è d’accordo e aggiunge che ci sono criticità determinate anche dalle esigue risorse che costringono spesso a fare delle scelte. «Molti ragazzi – spiega –hanno fatto percorsi di alternanza scuola-lavoro in aziende lontane per cui le risorse messe a disposizione della scuola sono andate a coprire, in parte, le spese di rimborso viaggio. Questo significa che sono state destinate ad alcuni progetti a scapito di altri. Ma la difficoltà di raggiungere il posto di lavoro ha interessato molti studenti, privi di patente e di mezzi. Ritengo che queste criticità vadano rimosse, perché vanno a incidere e sul percorso scolastico e sullo stile di vita dei ragazzi e delle famiglie».

Duro è Antonio Minafra che ritiene la “Buona Scuola” inficiata da un vuoto normativo nella parte in cui non prevede che alla mancata partecipazione (obbligatoria) al percorso alternanza lavoro, non segua una sanzione. Poi ritiene si debbano organizzare questi percorsi in aziende dai saldi principi etici.

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Dopo l’appassionata concione del professor Corrado De Benedittis sul recupero della dignità della Scuola e del ruolo degli insegnanti, segue, a cura del Partito di Rifondazione Comunista, la presentazione dei risultati del sondaggio “Quale alternanza scuola-lavoro?” condotto tra la popolazione studentesca del Liceo Scientifico e Linguistico “Orazio Tedone” di Ruvo di Puglia a marzo e aprile 2017.

Gli esiti dell’indagine fotografano un sistema che va rivisto, almeno a livello locale. 116 studenti sono stati intervistati. Di questi «il 71% ritiene che le ore sottratte alla didattica incidano sul percorso scolastico e di essi l’87% ne ha constatato una ricaduta negativa».

Il 33% degli studenti, in una scala da 1 a 10, attribuisce all’alternanza un voto che va da 5 a 6. Inoltre il 73% degli studenti valuta negativamente l’esperienza avuta che non ha arricchito le proprie competenze.

Per quel che concerne le attività svolte, si spazia dalle traduzioni (22%), al doposcuola ad alunni di elementari e medie presso enti assistenziali (19%), accoglienza clienti, catalogazione di libri e farmaci (17%), mansioni pratiche in ambiti tecnici, laboratori (25%). C’è anche chi è stato completamente abbandonato a sé stesso. Alla fine, è emerso che l’88% degli studenti è rimasto insoddisfatto dei propri percorsi non coerenti con il piano di studi e il 55% ritiene non formativa l’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro.

Giudizio confermato, in parte, anche da Gadifa Akremi, che si è ritenuta comunque fortunata dal momento che ha lavorato come traduttrice presso un’azienda ma è stata costretta a tradurre testi semplici perché la conoscenza della lingua richiesta nel settore in cui opera l’azienda ospitante è di tipo specialistico. Tutto questo ha portato a un senso di frustrazione per gli studenti e lavoro faticoso anche per il tutor aziendale. Un dato positivo emerge: i ragazzi sono consapevoli del fatto che la scuola svolge un ruolo importante nella formazione di futuri cittadini.

Conclude Antonella Vulcano per la quale il progetto di alternanza scuola-lavoro che, dal 2019, insieme alle prove Invalsi saranno materia di esame, non deve sostituire la didattica ma, sull’esempio del Veneto, va organizzato in modo tale da garantire l’applicazione degli articoli 3 e 34 della Costituzione, che tutelano la dignità umana e un effettivo diritto allo studio. Inoltre la CGIL chiederà l’abrogazione dell’orario obbligatorio che incide negativamente sulla qualità del percorso. «Siamo per l’innovazione, ma essa deve seguire i suoi tempi e non deve comprimere alcun diritto».

Quindi c’è molto su cui lavorare.

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