Conoscere la storia e la geografia per proteggere il proprio territorio: la lezione della professoressa Elena Musci
Lo studio della storia e della geografia deve essere “playable”, deve svolgersi secondo una metodologia che coniughi scientificità, creatività e intuizione.
Solo così un territorio e la sua “anima” rimangono sempre vivi in ognuno di noi.
Per questo il libro “Storia e geografia. Idee per una didattica congiunta” (Carocci Editore), presentato ieri dalla professoressa Elena Musci, coautrice insieme ad altri ricercatori universitari, è un interessante strumento sia per i docenti, presenti nella Sala Conferenze di Palazzo Caputi, sia per chiunque intenda leggere il proprio passato attraverso i segni del paesaggio.
Introdotta dall’Assessora alla Cultura Monica Filograno, entusiasta sostenitrice della didattica esplorativo-scientifica nelle sue classi, Elena Musci, allieva del prof. Antonio Brusa e consulente in didattica della storia, ha sottolineato le gravi carenze nell’insegnamento di queste due materie che sono fondamentali sotto ogni profilo.
Partendo da un aneddoto che ha il sapore di leggenda metropolitana (in sede di esame, una studentessa non sapeva individuare il Brasile e l’Africa), la Musci, ha denunciato il grave errore del Miur nell’accorpare in un unico modulo la storia e la geografia.
Perché creando la “geostoria” si sono ridotte le ore di studio – riduzione denunciata da molti insegnanti – senza considerare che lo studio approfondito delle connessioni tra i diversi elementi di un paesaggio, mai naturale perché costantemente modificato dall’uomo, si possono ricostruire le vicende storiche di un territorio.
Il paesaggio si studia, quindi, per conoscere il nostro passato con uno sguardo al futuro.
Studiare un paesaggio abusato dall’uomo, poi, consente di guardare, capire e trasformare il mondo, secondo Eugenio Turri, antropologo stimato dalla Musci. Per esempio, analizzare un paesaggio devastato da alluvioni conduce a comprenderne le cause e ad attivarsi a migliorare l’ambiente in cui si vive attraverso comportamenti precauzionali.
Il paesaggio, quindi, specchio dell’uomo, della sua storia, mai statico, ma condiviso, vissuto dalle comunità locali che dovrebbero tutelarlo.
Ma per tutelarlo occorre conoscerlo in senso ampio e allora la Musci suggerisce diversi metodi che possono essere impiegati in ogni contesto.
C’è il metodo regressivo; l’uscita didattica esplorativa, ben diversa dalla visita guidata; le “escursioni mistery” nelle quali, partendo da uno specifico episodio storico e tramite indizi suggeriti in forma poetica, si conosce il tessuto sociale ed economico del territorio (ieri fu illustrato, per esempio, “Giallo Murgiano” ambientato a Castel Del Monte); la caccia all’errore storico o all’indizio; i quaderni di indagine. Un metodo poco utilizzato in Italia ma molto diffuso nel mondo è la “heritage interpretation”, in cui gli studenti sono invitati a dare risposte alle proprie domande “leggendo” i segni circostanti (monumenti, palazzi, pietre); sono invitati a dare risposte a quesiti come “Chi ha creato questo e perché?”
E i laboratori scolastici di venticinque ore, organizzati dalla professoressa Musci e dei quali ha dato testimonianza nel libro, sono appunto tesi all’acquisizione di un metodo di indagine che dona una vera consapevolezza del territorio in cui si vive e suscita, al contempo, un amore tale da proteggerlo.