Religione

Conclusioni dal campo diocesano di AC: “Custodi ci creò. La cura come prassi di laicità”

Per quanto la possibilità di incontrarsi fisicamente sia stata limitata, anche quest’anno l’Ac diocesana ha vissuto un momento di formazione importante come il campscuola. “Custodi ci creò. La cura come prassi di laicità”, svoltosi in gruppi interparrocchiali o cittadini e in modalità virtuale, dal 30 luglio al 2 agosto, per riflettere e trovare spunti concreti su una dimensione che la pandemia ci ha permesso, paradossalmente, di vivere in maniera più diretta e autentica: la cura. Dell’altro, dell’ambiente, dell’interiorità e via dicendo.
Questa la relazione conclusiva della presidente Nunzia Di Terlizzi, a seguito della celebrazione eucaristica di domenica 2 agosto, presso la parrocchia S. Achille, a Molfetta.

“Quale progettazione fare”
Questo campo è giunto alla sua conclusione. L’augurio che mi facevo il primo giorno è che restasse nella memoria e nel cuore di ogni partecipante e spero che abbia trovato il giusto spazio, perché quanto ci siamo detti non è un una riflessione solo culturale ma è un impegno di vita.
Prendersi cura della nostra casa comune e dei nostri fratelli e sorelle più fragili non è solo un invito che ci ha fatto papa Francesco nel Regina Coeli del 24 maggio, ma è, come ha scritto nella preghiera ogni giorno recitata, un aprire le nostre menti e toccare i nostri cuori per operare la cura del creato. Abbiamo invocato il Dio amorevole perché ci aiuti a mostrare solidarietà creativa, nell’affrontare le conseguenze di questa pandemia globale e ci renda coraggiosi, nell’abbracciare i cambiamenti rivolti alla ricerca del bene comune. La difficoltà di questi tempi si supera chiedendo a Lui la forza per rispondere specialmente ai bisogni dei più poveri e dei più vulnerabili, ad ascoltare il loro grido.
La “Preghiera comune per la terra e l’umanità” non è solo invocazione, ma diventa concretezza quando con gli strumenti che abbiamo, e ne abbiamo molti, ci mettiamo in gioco.
L’Azione Cattolica ci forma con i suoi percorsi e ci educa ad una relazione di gruppo, di comunità, di Chiesa.
I nostri percorsi formativi non sono mai fatti in solitudine, intorno a noi c’è un gruppo. Gruppo che durante il lockdown non è stato possibile vivere pienamente. La pandemia ha colto di sorpresa tutti. È stata una tempesta non prevista e desiderata che ha fatto venire meno le nostre certezze e ci fatti sentire limitati, ci ha immerso nella storia, quella vera, senza sconti, senza filtri, ci ha fatti scoprire più fragili ma più veri e ci ha rivelato che la storia va avanti, non rispetta e non aspetta il nostro individuo, la nostra consapevolezza e le nostre scelte e per questo, in questa storia, dobbiamo mettere la nostra impronta di cristiani autentici, innamorati di Cristo e degli uomini. È così che a poco a poco con creatività, senso di responsabilità, dobbiamo recuperare la nostra presenza in questo tempo.
Ritrovarsi anche fisicamente, continuare ad utilizzare le nuove tecnologie, di cui in questo tempo siamo diventati più familiari, facilitare i contatti, è il compito di oggi.
Dobbiamo però, più che in altro momento, fare delle proposte molto circoscritte, chiare, mirate, dare i giusti contenuti agli aderenti perché possano sempre fare delle scelte giuste e consapevoli.
Il discernimento che abbiamo potuto fare in questo tempo in cui avevamo molto più spazio per noi stessi, ci ha permesso di guardare alle nuove emergenze che il Covid ha provocato: alle nuove povertà, al lavoro che è venuto a mancare per molti, all’assenza totale di figure educative esterne alla famiglia, rimasta sola. Anche la famiglia è diventata un’emergenza perché tanti conflitti, in essa, si sono sviluppati e acutizzati.
A queste emergenze, a cui la CDAL con il Documento “Forzare l’aurora a nascere” sapientemente ci ha portato a guardare e a riflettere, dobbiamo dare risposta e siamo invitati a farlo anche all’interno di una programmazione pastorale diocesana che ci accingiamo a realizzare.
Alla mancanza di lavoro dobbiamo rispondere con nuovi strumenti (ad es. un progetto di microcredito), al risparmio della famiglia dobbiamo proporre ad esempio i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) che permettono di acquistare a km 0, quindi con un costo inferiore. Incrementare i centri antiviolenza che diano risposte concrete alle tante donne e ai tanti figli che sono stati oggetto di violenza in questo tempo.
Non è possibile camminare da soli. Non è possibile pensare di riuscire a dare delle risposte con poche forze. È necessario fare rete, creare nuove alleanze ma anche dare più impulso alle relazioni già esistenti come quelle con gli Uffici da Pastorale: catechismo, giovani, famiglia, scuola, comunicazioni sociali e magari iniziarne di nuove, guardarsi intorno nel territorio, capire e organizzare la speranza insieme al mondo civile e sociale. I comitati di quartiere non possono restare solo delle indicazioni nei programmi politici, ma devono diventare, qualcosa che entra in un percorso parrocchiale di maggiore partecipazione e di apertura alle situazioni del territorio. E, questo, in un’ottica di sinodalità.
La maggior parte di noi sono educatori, animatori di gruppi di ragazzi, di giovanissimi e giovani, di adulti e di adultissimi, dobbiamo cercare, come si suggerisce negli Orientamenti dell’Azione Cattolica per il 2020/2021, di raggiungere tutti gli aderenti, anche cercando di creare dei piccoli gruppi di formazione. In questa pandemia chi ha pagato il maggiore scotto, perché aveva difficoltà ad usare le tecnologie, sono stati i fanciulli e gli adultissimi. Non si possono lasciare sole queste fasce di età e come diceva ieri Notarstefano, questi anelli deboli della catena devono essere rinforzati perché tutta la struttura non venga meno.
Bisogna pensare in modo creativo, con passione associativa, a mettere in campo un di più di generosità perché questa emergenza sanitaria che ci ha costretti a cambiare, ci trovi più preparati al cambiamento.
Abbiamo una parola d’ordine: essenzializzare. E nella nostra programmazione cercheremo di attenerci a questo invito. Cercheremo, nel progettare, di prenderci cura di ognuno di voi e di promuovere una Ac che non ha solo a che fare con una questione numerica ma, con una risposta di contenuti da offrire agli aderenti.
È necessario che sempre più persone abbiano la possibilità di fare un’esperienza bella di fede, di vita ecclesiale, di vita associativa, di crescita umana, e quindi cercheremo anche di dare maggior valore al Consiglio diocesano di Ac e con nuove dinamiche inizieremo a progettare insieme.
Durante l’anno dobbiamo promuovere l’associazione incontrando le persone, stando loro accanto. Non dobbiamo concentrarci su grandi obiettivi che sembrano oggi impossibili da raggiungere anche se li abbiamo sempre percorsi.
Cercheremo di comunicare bene, con tutti i mezzi a disposizione, le tante esperienze e attività che viviamo come abbiamo fatto in questo tempo e a breve cercheremo di mettere anche sul nostro sito tutte le iniziative che si sono sviluppate nei mesi scorsi.
Anche con l’Ac nazionale stiamo sperimentando nuovi modi di relazionarci, che incrementano la frequenza. Non ultimo, il webinar che abbiamo vissuto il 29 luglio dal tema “Essere e fare gruppo ai tempi del Covid”. Abbiamo anche cercato, lo avete constatato, di rendere pubblico e visibile questo camposcuola attraverso i mezzi di comunicazione locali. L’abbiamo pubblicizzato non per desiderio di protagonismo, ma per dare visibilità ad un pezzo di Chiesa che lavora, si mette in discussione, con impegno dà stimoli alla crescita dei propri laici.
Dagli Orientamenti 2020/2021 “Servire e dare la propria vita” comprendiamo che è un impegno missionario quello che ci aspetta. La missione di ogni Cristiano è servire, non desiderare, come Giacomo e Giovanni nel vangelo di Marco, icona biblica che ci guiderà, di diventare protagonisti di potersi sedere alla destra e alla sinistra di Gesù ma di sentirsi sempre dei servi inutili, servi, che con la gioia nel cuore aiutano gli altri a sentirsi protagonisti. Il Documento finale della XVII assemblea diocesana “AC: una Casa per tutti” ci ha consegnato dei compiti da assolvere e non in un giorno, ma in tre anni, forse quattro (visto che l’Assemblea Nazionale si svolgerà il prossimo anno): quello di essere un’Ac che si lascia definire dal primato della missionarietà, della prossimità, della fraternità, mette al centro la persona, diventa promotore di un nuovo umanesimo. Dobbiamo, per vivere ciò, alimentarci della parola di Dio che ci parla al cuore e ci porta ad agire rispettando l’altro e animando la nostra azione che è promozione di civiltà e di democrazia.
Cinquant’anni dallo Statuto, come scritto nel documento finale, non sono solo un momento celebrativo storico, ma diventano il momento per fare il bilancio di quello che si è fatto fino ad oggi e di quello che ancora si deve realizzare pienamente. Un’emergenza che viviamo nelle nostre parrocchie è il non vivere pienamente la partecipazione democratica agli strumenti che il Concilio Vaticano II ci ha dato. Il Consiglio Pastorale non è vissuto con il valore che ha in sé questa istituzione. Come anche il consiglio di Ac. Siamo laici, laici, di un’associazione di uomini e donne che vivono l’ordinario del mondo e in esso si santificano e per questo, la nostra relazione all’interno degli organismi, anche pastorali, deve essere alla pari, deve essere rispettosa dei nostri carismi delle nostre specificità. Perché laici, viviamo il mondo e quindi, tutto ciò che è umano ci riguarda.
È nel Consiglio pastorale parrocchiale, dove noi come associazione siamo presenti, che diventa concretezza la Lettera Pastorale del nostro vescovo: “Parrocchia missionaria, Chiesa che vive in mezzo alle case dei suoi figli”. Essa, che è cardine nella nostra programmazione e nelle nostre scelte, perché, dà le linee programmatiche per la nostra chiesa locale, ci richiama al dovere di vivere la missione nella propria parrocchia che è il territorio di nostra conoscenza in cui intessiamo amorevoli relazioni, ma viviamo anche deprecabili conflitti e a volte un’indifferenza inaccettabile, dove ricchezza e povertà convivono quasi ignorandosi.
Abbiamo il compito di evangelizzare lì dove siamo chiamati a vivere, restando fedeli alla nostra storia e alla nostra geografia, per ricordare l’Evangelii Gaudium. La parrocchia, luogo privilegiato per l’annuncio del Vangelo, dove ognuno deve farlo con gli strumenti e le conoscenze che gli sono proprie, costruita in mezzo alle case, deve entrare nelle case dei suoi figli e noi abbiamo il dovere di entrare in punta di piedi rispettosi da servitori, invitati ad andare perché attuatori di un programma pastorale. Il servizio alla Chiesa e al territorio non sono delle novità lo abbiamo sempre fatto ma dobbiamo farlo con uno spirito sempre nuovo che non ci fa sentire affaticati ma ci permette di essere ricaricati.
Questo campo è servito a mettere a fuoco un aspetto del tanto, che interessa all’uomo. Le campagne associative che abbiamo fatto negli anni, sono in stretta sintonia con la Laudato sì. La campagna per l’acqua bene comune, per una città più vivibile, contro la corruzione del voto di scambio, contro l’abominio di uomini diventati succubi del gioco d’azzardo e non ultima, la campagna, ancora con conclusa, di accoglienza verso gli immigrati. La vita associativa che si prospetta è una vita associativa bella dove, non dobbiamo, non ne abbiamo il tempo, sentirci stanchi dove, siamo chiamati a servire le coscienze, creare dei legami, dove siamo Chiesa e territorio, dove siamo il segno di Dio.
Auguri Azione Cattolica, buon lavoro nella vigna del Signore, sostenuti dalla com-passione di Maria e di tutti i santi e beati dell’Azione Cattolica!
* * *
La presidenza si è ritrovata sabato 22 agosto per definire la programmazione dell’anno associativo che comincerà a breve, per continuare a camminare accanto a tutte le associazioni parrocchiali, anche in questi tempi tanto incerti.

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