Alla Pinacoteca Comunale in mostra i bozzetti del graphic novel “I segni addosso”
Sono esposti, sino a venerdì 17 marzo, presso la Pinacoteca Comunale di Arte Contemporanea di Ruvo di Puglia, i bozzetti in china nera di Elena Guidolin, una degli autori di “I segni addosso – Storie di ordinaria tortura” (Studio Ram, Becco Giallo Editore), graphic novel presentato il 10 marzo nella Sala Conferenze dell’antico Convento dei Domenicani, nell’ambito della rassegna “Attraversamenti – Evoluzioni a Teatro”, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ruvo di Puglia, in collaborazione con Teatro Comunale/Associazione “Tra il dire e il fare”, dedicata ai diritti civili.
Non è la prima volta che il “racconto a fumetti” parla di diritti civili, di storia, di etica. Pensiamo a “Persepolis” dell’iraniana Marjane Satrapi, a “Maus” di Art Spiegelman, vincitore del Premio Pulitzer nel 1992.
“I segni addosso” narra della tortura, dei suoi segni, delle sue lacerazioni, attraverso le parole del giornalista Andrea Antonazzo, su un’idea del professor Renato Sasdelli, e le immagini evocative di Guidolin.
La mostra è stata inaugurata da un incontro con gli autori, moderato dall’Assessora alla Cultura Monica Filograno, e una prolusione del professor Michele Lotito sulle pratiche , di natura fisica o psicologica, a cui ricorre, da secoli, il lato oscuro del Potere – di ogni Potere – per ottenere informazioni , dichiarazioni, confessioni. Lotito, in un excursus storico e filosofico, parla della tortura e della psicologia dei torturatori, incarnati nel nazista Adolf Eichmann, persona normale, affabile, affidabile ma espressione della “banalità del Male” in quanto mero esecutore di ordini superiori diretti allo sterminio di persone di religione ebraica. Ma, come diceva Don Milani, «L’obbedienza non è una virtù» perché esiste anche la disobbedienza civile, etica, che contrasta gli ordini criminali.
«In Italia non è contemplato il reato di tortura, perché si dice che essa non sia praticata. Ipocritamente» afferma Lotito.
In Italia la Convenzione ONU contro la tortura del 1984 ha efficacia dall’11 febbraio 1989, essendo stato depositato lo strumento di ratifica su autorizzazione della legge che conteneva l’ordine di esecuzione d’uso per le norme della Convenzione. Questo significa che, di fatto, sono inseriti nell’ordinamento italiano gli obblighi della Convenzione, ma gli articoli 1 e 4 della Convenzione, in combinato disposto, stabiliscono che gli Stati sono obbligati a contemplare, espressamente e immediatamente, la tortura come reato perseguibile, quindi, penalmente. Ma nel codice penale italiano, il reato di tortura non è ancora contemplato, nonostante gli impegni presi.
L’espediente utilizzato in “I segni addosso”, per parlare delle “tecniche avanzate di interrogatorio”, è il teatro. In scena si portano tre atti, che coincidono con tre capitoli dedicati agli eventi cruenti alla Scuola Diaz, durante il G8 di Genova del 2001; alle sevizie perpetrate da militari statunitensi, ad Abu Ghraib, su prigionieri iracheni durante la Guerra in Iraq, e alle torture eseguite dai fascisti.
Il graphic novel invita, «con delicatezza e senza retorica» dice Antonazzo, a riflettere sull’attualità della tortura, più detestata della morte, perché annienta non solo il corpo ma anche la mente, lo spirito dell’uomo. Dopo la tortura, non si ritorna o difficilmente si ritorna in uno stato di grazia. Si perde fiducia nell’uomo. E quello che più atterrisce è il non riconoscere che essa esiste ed è praticata anche in contesti dove è garantita, almeno nominalmente, la democrazia ed è tutelata la dignità umana.
I bozzetti di Guidolin, in mostra, hanno tratti vigorosi, intensi – «disegno e coloro con il corpo» racconta l’illustratrice – e non indugiano morbosamente sui corpi torturati, devastati “campi di battaglia”. I suoi disegni suggeriscono, drammaticamente, lo scempio alla dignità umana attraverso un particolare, uno sguardo, un’ombra.
Mostra “I segni addosso – Storie di ordinaria tortura” fino al 17 marzo. Ingresso gratuito.