Al Teatro Comunale va in scena "L'Abito nuovo": intervista al regista Michelangelo Campanale
Nell’Edizione Compleanno del Teatro Comunale di Ruvo di Puglia, uno dei preziosi doni che la Compagnia “La luna nel letto” fa ai ruvesi è “L’abito nuovo”, scenario di Luigi Pirandello dialogato in due atti e tre quadri e concertato da Eduardo De Filippo.
E’ stata proprio la Compagnia “La Luna nel Letto” a riportare sulle scene, dopo quasi ottant’anni, questo dramma. E lo ha fatto in prima nazionale, a gennaio di quest’anno, al Teatro Kismet Opera di Bari, riscuotendo un notevole successo di critica e di pubblico.
La redazione di ruvesi.it vuole riproporre l’intervista al regista Michelangelo Campanale fatta in occasione della prima nazionale.
Perché riproporre “L’Abito Nuovo” dopo 79 anni?
“La Compagnia “La luna nel letto” si è avvicinata a due maestri del teatro e della letteratura italiana come Luigi Pirandello e Eduardo De Filippo, scoprendo un testo poco noto e mai più messo in scena dopo la prima rappresentazione, avvenuta a Milano al Teatro Manzoni il 1º aprile 1937, pochi mesi dopo la morte di Pirandello. La commedia non venne più rappresentata, ad eccezione della ripresa televisiva della stessa avvenuta nel ’64 e conobbe un destino diverso dalle altre opere molto note dei suoi autori. L’impresa si è dimostrata da subito una grande sfida: trattare un testo così particolare e con una storia contrassegnata da un silenzio di quasi ottant’anni, partendo da una piccola compagnia di un piccolo paese del sud, ha richiesto due ingredienti fondamentali, l’umiltà e l’ambizione. L’umiltà è l’elemento con cui per noi è stato necessario avvicinarsi a due Maestri, cercando al contempo di rispettarli e di “tradirli” nel senso etimologico del termine (tradere, dal latino trasmettere), l’ambizione è stata un pungolo che ha reso sostenibile un processo produttivo capace di coinvolgere l’intera Compagnia, che si è attivata con immensi sforzi per realizzare una grande produzione in assenza di particolari finanziamenti ad essa dedicati. Abbiamo scelto l’”Abito nuovo” perché, nonostante tutto, vogliamo rilanciare ancora, riscoprendo la tradizione da cui proveniamo: questo oggi è per noi, a tutti gli effetti, un processo rivoluzionario”.
Nella novella pirandelliana, le ultime parole “Wagon –restaurant” di Crispucci denotano accoglimento del compromesso, nel testo teatrale di Pirandello e De Filippo, il povero scrivano rifiuta l’eredità. Secondo lei, quale Crispucci è l’uomo dei nostri giorni?
“Ricordo che una sera, al Teatro Curci di Barletta, chiacchierando con Vittorio Continelli (nella commedia Cerino), è venuta fuori una riflessione sul personaggio di Crispucci, allo stesso tempo eroico ed antieroico. Eroico nel suo perseverare in una moralità di cui è l’unico difensore e testimone, antieroico perché anacronistico e destinato alla sconfitta, alla morte, che arriva proprio perché il nostro personaggio non sa accettare il cambiamento dei tempi. The show must go on, diremmo oggi, mentre Crispucci vive una dimensione isolata e isolante, non ponendosi in comunicazione con il proprio tempo e con l’umanità che lo circonda, imprigionato in un abito vecchio, regalatogli dall’avvocato a capo dell’ufficio, portato addosso da tanti anni “come il cane porta il pelo suo”. Fotografato nell’attimo dell’abbandono subito da sua moglie, Nanninella, Crispucci non accetta in nome di una morale assoluta lo scorrere del tempo, rifiutando le donne e immolandosi in nome dell’onestà. La morte di Crispucci è “la morte di un cornuto”. Senza entrare nel merito dei valori difesi e della dicotomia Onestà VS Disonestà, Pirandello e Eduardo disegnano una traccia ineluttabilmente volta alla distruzione, mentre Célie Buton nel finale, pur essendo la prima a morire, sembra essere l’unica rimasta in vita. E’ lo slancio vitale che divide inesorabilmente i due personaggi”.
Una Compagnia del Sud che riporta in teatro un’opera di due drammaturghi del Sud. L’uomo meridionale è forse simbolo delle fragilità, delle forze e contraddizioni dell’uomo inteso in senso universale?
“In una società come la nostra, in cui si confondono i confini geografici a favore di una globalizzazione senza frontiere, crediamo sia importante partire dalle “radici”. Non credo sia corretto visualizzare l’uomo del sud come sineddoche dell’umanità tutta, dando luogo a generalizzazioni fuorvianti ed esclusive. Credo altresì che ogni luogo nutra il nostro immaginario e le nostre visioni, condizionando in parte il nostro modus operandi. Partendo da questo assunto personale, si possono contrastare le proprie radici o accoglierle, riconoscendone punti di forza e debolezze tanto antiche quanto presenti. Per “La luna nel letto”, che ha scelto come Compagnia di rimanere “a casa”, di resistere, di affondare le radici per poter estendere i propri rami nel mondo, la vera rivoluzione oggi è riscoprire la tradizione, capire da dove proveniamo e cosa ci ha portato ad essere oggi quelli che siamo. Per questo partire da due drammaturghi del Sud, da una commedia intrisa degli umori e dei colori del Meridione, ha rappresentato un’importante occasione di riflessione e crescita”.
Ci parli della collaborazione con Marco Manchisi.
“E’ stato proprio Marco Manchisi a proporci di lavorare insieme su questa commedia, riconoscendo nella visionarietà del nostro lavoro Il vecchio e il mare un punto di partenza per trattare una commedia così particolare. Abbiamo accettato subito la sfida ed è nata una collaborazione intensa, che non si è fermata a L’Abito nuovo. Abbiamo scelto di sostenere come Compagnia un lavoro molto prezioso sulla maschera e la commedia dell’arte per un pubblico di bambini – I guai di Pulcinella – che da sempre sono i nostri interlocutori e compagni di viaggio. Siamo certi che siano solo i primi passi di una lunga collaborazione artistica, professionale e umana…”
La vostra lettura dell’opera teatrale “L’Abito Nuovo”.
“Lo spettacolo si apre con il personaggio del sarto a proscenio, intento a cucire l’Abito nuovo per Crispucci, che mai terminerà. Sulla scena irrompe la vita dell’ufficio, la villa al mare di Célie Buton, l’interno domestico di casa Crispucci. Chi è quel sarto? Parafrasando Shakespeare potremmo chiederci cos’è il sarto per il teatro e il teatro per il sarto? Nel gioco della finzione scenica verità e sogno si confondono, a incorniciare tutto la voce di Eduardo che racconta, all’inizio e alla fine, l’incontro meraviglioso con il maestro, Luigi Pirandello. Abbiamo voluto rendere omaggio ai nostri maestri, senza agire sul testo, lasciando spazio alla potenza di quelle parole e delle visioni da esse scaturite. I temi della “roba”, del possesso, della corruzione, dei pregiudizi di una società viziata dal cancro del disprezzo e incapace di vera solidarietà sono davvero così lontani dal contemporaneo? Questo spettacolo mette in scena una realtà italiana del 1935, senza pretesa di altra trasposizione contemporanea che non sia già espressa dalle sue parole.”
Lei è anche uno scenografo e tecnico delle luci. Un accenno alla scena.
“Ho cercato di disegnare, attraverso una drammaturgia della scena e delle luci, i diversi mondi che vivono nella commedia. Il mondo degli uffici in cui vivono piccoli uomini costretti nei loro ruoli e nella loro “bassezza”, che da condizione fisica diviene metafora di una inclinazione morale; lo sfarzo e gli agi della lussuosa villa di Celie Buton, l’interno misero di una casa della Napoli popolare. Mondi che appaiono e scompaiono sulla scena, contrasto di eccesso ed essenzialità. Generazioni di uomini e donne, ognuno illuminato dal proprio fascio di luce, che difficilmente entrano in contatto con gli altri essere umani. Come sempre, per “La luna nel letto”, parole, suoni, immagini, scene, costumi, luci, silenzi sono portatori di un significato, sono tutti ingredienti necessari ed insostituibili, che compongono un quadro di cui ogni elemento può e deve farsi racconto.”
Situazione attuale del teatro in Italia e in Puglia, in particolare.
“Il teatro ha da sempre conosciuto tempi difficili, a questo siamo abituati. Quello che caratterizza oggi il fare teatro pone interrogativi profondi e sostanziali. La riforma del FUS, tanto discussa, ha davvero fatto emergere una fotografia reale del Paese? Noi come Compagnia siamo onorati di essere stati riconosciuti dal Mibact in quanto questo riconoscimento è frutto di anni di lavoro quotidiano a partire da un territorio non sempre facile, da un progetto culturale prima che artistico, da una visione globale del nostro posto nel sistema teatrale italiano. Bisogna ripartire dai progetti culturali, nel rispetto dei criteri quantitativi, dei minimi di attività, di tutte le misure che occorrono a verificare che l’attività delle imprese sia meritevole di un sostegno pubblico di una determinata entità, ma il dialogo tra gli addetti ai lavori si sta impoverendo sempre di più. La responsabilità crediamo sia in parte la nostra, intendo dei teatranti, sempre concentrati sul particolare a dispetto dell’universale, più propensi alla divisione che alla collaborazione. Non è questa la sede per entrare nello specifico della riforma del Fus e del DM tanto discusso, ma ci piacerebbe che il cambiamento fosse frutto di una visione nazionale che tenga conto delle specificità regionali, che sono una ricchezza se messe in comunicazione in maniera trasparente, etica, virtuosa.
La Puglia oggi sta attraversando una nuova fase, un po’ sonnolenta, ma è troppo presto per trarre conclusioni in quanto molti processi non sono ancora partiti. L’eredità (per tornare ai temi cari a L’Abito nuovo) degli anni passati, caratterizzati da una rivoluzione culturale che ci ha toccato da vicino in quanto Residenza Teatrale della Rete Teatri Abitati, è sicuramente forte, ci ha portato a riconoscimenti e ad una visibilità nazionale, sia da un punto di vista artistico che per le “buone pratiche” politiche e organizzative. Dall’interno conosciamo le difficoltà incontrate in questo processo, sappiamo quanta fatica c’è dietro il lavoro di una Residenza che voglia davvero essere una casa teatrale per il proprio territorio, ma crediamo che si debba ripartire soprattutto da una visione europea che abbiamo sviluppato in questi anni, dall’acquisizione di un lessico che ci rende attivi protagonisti dei processi creativi e culturali dell’oggi, da una conoscenza profonda dei territori e dei colleghi di lavoro. Solo partendo da questi presupposti, collaborando e perseguendo un fine più alto, studiando e rilanciando sempre più, la Puglia può essere ancora la terra felice che per un attimo ha fatto invidia all’Italia”.
“L’abito nuovo” andrà in scena il 24, 25 e 26 novembre come matinée per le scuole; venerdì 25 e sabato 26 novembre alle 20.30 e domenica 27 novembre alle 18.00 al Teatro Comunale di Ruvo di Puglia.
Per informazioni : info@teatrocomunaleruvo.it; www.teatrocomunaleruvo.it; tel. 080 3603114.