25 NOVEMBRE, FEMMINISMO È RIVOLUZIONE
Oggi ricorre la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Come Rifondazione Comunista crediamo che il 25 novembre debba essere un giorno di lotta per affermare l’autonomia, l’autodeterminazione, la dignità e la libertà delle donne, contro i nuovi ruoli prodotti dal maschilismo e la visione proprietaria dei maschi che porta ai femminicidi.
Nel nostro paese il patriarcato ha cambiato le forme ma non la sostanza: sono cambiate le donne ma non è cambiata la testa degli uomini che continuano a lavorare per produrre i modelli di identificazione femminile, che continuano ad avere una visione proprietaria delle proprie mogli o ex mogli, compagne o ex compagne, che continuano ad essere incapaci di gestire le fragilità, schiavi del ruolo assegnatogli dalla nostra società.
Serve quindi prima di tutto una rivoluzione culturale che obblighi gli uomini ad un lavoro su loro stessi.
In tutto questo non bisogna perdere di vista il forte legame tra i diritti civili che nutrono la libertà di autodeterminazione delle donne e i diritti sociali in cui la libertà trova espressione concreta: il welfare pubblico e accessibile, un reddito di base universale, il diritto all’abitare, la parità salariale, la formazione, la tutela contro i ricatti sul posto di lavoro, le misure di sostegno per la fuoriuscita dalla violenza.
C’è ancora molta strada da fare, e quel milione e 400 mila donne che hanno subito abusi per entrare o mantenere un posto di lavoro ci forniscono l’entità del fenomeno.
Essere più istruite degli uomini non basta a garantire un accesso e una permanenza nel lavoro, alle stesse condizioni della componente maschile, perché è alle donne che sono maggiormente riservati impieghi che richiedono competenze inferiori a quelle di cui dispongono.
Alcuni numeri: la mancata partecipazione delle donne al lavoro arriva al 25% contro il 18% degli uomini; Il part-time involontario è tutto al femminile: 19% donne contro il 6% uomini. Il reddito guadagnato dalle donne è in media di un quarto inferiore rispetto agli uomini. Le dimissioni volontarie dei genitori di bambini dai 0 ai 3 anni sono nel 77% dei casi di genitori donne. L’85% delle famiglie monoparentali in povertà assoluta ha come riferimento una donna.
Ci teniamo a sottolineare un aspetto: la disparità salariale e di diritti tra uomo e donna è caratteristica del troppo spesso osannato ed esaltato ambito privato di lavoro, perchè nel tanto bistrattato pubblico la parità salariale e di diritti è garantita. Pretendere che oggi in Italia serva più pubblico e meno privato significa lottare per i diritti delle donne. Chi vuole continuare a privatizzare il lavoro e poi nel mentre rivendica maggiori diritti sociali per le donne è solo un ipocrita.
E’ il nostro modello economico che produce volutamente disuguaglianze economiche e discriminazioni. Sono quasi sempre le donne a pagare per prime gli effetti delle crisi economiche, delle riforme del mercato del lavoro, della disoccupazione.
Per intenderci: nel 2020 durante la pandemia si sono persi circa 100mila posti di lavoro in Italia. il 98% di questi erano di lavoratrici donne.
L’indipendenza economica è essenziale: non avere un lavoro e un reddito stabile impedisce a molte donne e soggettività lgbt di uscire da condizioni di pericolo e violenza.
Interventi di stampo assistenziale o emergenziale col contemporaneo ricorso sempre più frequente a provvedimenti di repressione di tutte le forme di conflitto destinato a crescere con l’acuirsi delle disuguaglianze sociali, frenano il cambiamento.
La narrazione mediatica che vede la donna sempre vittima e l’uomo violento come un mostro/ pazzo/malato d’amore non fa che aggravare le cose. Si tratta di una narrazione tossica, che distorce la realtà.
Il recente affossamento della legge Zan testimonia che la violenza di genere fa ancora difficoltà ad essere inquadrata come vera priorità a livello politico. Eppure, l’apparato sanzionatorio non basta, occorre investire in percorsi di fuoriuscita, formazione e servizi adeguati e, soprattutto, occorre l’educazione sessuale e relazionale-affettiva, a partire dalle scuole.
Sarebbe bello se Ruvo si facesse promotrice, come città capofila, della nascita di una casa-famiglia a sostegno delle donne che subiscono violenza, in uno o più immobili a disposizione sul territorio. Sarebbe uno strumento per accogliere quelle donne che denunceranno una violenza e non sapranno dove dimorare in modo sicuro, per garantirsi la sopravvivenza.
La violenza di genere non ha razza né etnia: è un fenomeno diffuso su scala mondiale, seppure declinato diversamente in vari contesti. Strumentalizzare i casi di violenza di genere per alimentare razzismo e xenofobia è controproducente, disonesto e assolutamente inutile.
Dunque vogliamo dire basta alla violenza di genere in tutte le sue forme.
– Vogliamo la parità salariale, condizioni di lavoro degne e continuità di reddito per tutte
– Vogliamo che si investa seriamente nei centri antiviolenza, nei servizi territoriali e nella formazione del personale coinvolto nei casi di denuncia.
– Vogliamo donne libere dal lavoro domestico e di cura ed economicamente indipendenti.
– Vogliamo più investimenti in sensibilizzazione ed educazione a partire dalle scuole.
– Vogliamo che la violenza di genere venga considerata davvero una priorità sociale e politica, e non più un problema individuale e di coppia.