Attualità

I 103 ANNI DI UN UOMO SPECIALE, NONNO MICHELE

Vi racconto una storia bellissima.
È la vita di un uomo speciale, quella di un ruvese autentico: Michele De Leo.
Mi parlano di lui come di un grande lavoratore, un marito amorevole, padre e nonno sempre presente.
È la storia di tanti, mi direte!
Chi è nonno, effettivamente, è senz’altro marito (almeno normalmente) e padre; la responsabilità di una famiglia, poi, ti porta ad essere, per forza di cose, un lavoratore.
Sul più o meno “grande”, beh… quello dipende!
Cosa elegge, allora, Michele De Leo a uomo fuori dall’ordinario?
La specialità della sua storia è racchiusa tutta in una data: Ruvo di Puglia, 14 dicembre 1915.
Due conti alla mano ci portano indietro nel tempo a 103 anni fa. È il periodo nero della grande guerra, si vive di stenti, si patisce la fame.
Michele nasce – come mi ha detto lui in un italiano perfetto – “a Natale”. Pochi giorni prima di quel triste Natale 1915.
Converrete con me, allora, sull’esattezza dell’aggettivo “speciale” affibbiatogli.
Michele, “u nuanne de Reuve”, speciale lo è davvero e questo non solo per quanto sia riuscito faticosamente a costruire nella sua vita, ma anche perché ho scoperto essere uno dei cinque fortunatissimi centenari ruvesi che resiste ancora.
Ci avete fatto caso che superata una certa età i nonni sembrano somigliarsi tutti?
A prescindere dal candore dei loro capelli, dalla raggrinzita fisionomia del volto o dal loro incedere insicuro, quello che colpisce di un anziano, quello che più di tutto balza all’attenzione e fa riflettere è lo sguardo.
È triste, fateci caso! E quella tristezza trasmette, a chi inavvertitamente o con coscienza inciampa in quegli occhi, una piacevole sensazione di serenità. C’è la consapevolezza, in chi li osserva, di chi non ha più nulla per cui combattere.
“Pote piure chiove o nevecò!”, sembrano urlare, ma nulla, proprio nulla, può svegliarli dalla loro quiete, scuoterli dal loro torpore, perché il libro della loro vita lo hanno già scritto.
Questo, nella mezz’ora insieme, mi hanno raccontato gli occhi di Michele, azzurri come il mare, ma non più limpidi, assonnati, imbambolati.
Mi sono, allora, guardata intorno e sono stati i ricordi impressi in quelle foto, i suoi spazi quotidiani, le voci dei figli e gli schiamazzi dei nipoti a darmi tutte le risposte che speravo di raccogliere invece dalla sua bocca.
Era bellissimo lo sguardo d’intesa che leggevo in una foto tra Michele e Nannine, la moglie. Si capiva, non avevo bisogno di conferme, si erano amati tanto. Per fortuna del loro legame così forte hanno potuto godere a lungo. La moglie è morta nel 2011 a pochi mesi dal raggiungimento anche lei del secolo di vita.
Da questo grande amore nascono Nicola, Isabella, Angelo e Pinuccio, che mettono al mondo 8 nipoti e questi, a loro volta, altri 14 pronipoti.
I dispiaceri arrivano con un incidente stradale che coinvolge l’ultimogenito Pinuccio. Dal pauroso sinistro, il giovane, appena ventunenne, ne esce vivo, ma paralizzato dal busto in giù. Vivrà per altri 23 anni. È un dolore fortissimo che tiene unita tutta la famiglia.
Intanto la vita va avanti e Michele, ormai adulto, continua inarrestabile a spaccarsi la schiena in campagna. Con la zappa e con l’aratro trainato dagli asini macina chilometri su chilometri al giorno nei suoi amati campi.
È un lavoro pesante che lo mette fisicamente a dura prova, ma che ama fare perché gli consente di godere della natura, di respirare la vita a pieni polmoni. Ha smesso a 75 anni.
Mi raccontano che non è mai stato una buona forchetta e che ogni giorno, a pranzo e cena, mangerebbe volentieri un’abbondante portata de ambasciule pestote con un filo d’olio crudo.
Che stia nel mangiar poco il vero segreto per campare così a lungo?
Sono lì lì per andare via, quando inaspettatamente quell’incontro prende una piega allegra. In quella che sembrava tanto una riunione familiare creatasi per l’occasione, i bisnipoti, nel loro fare giocoso, circondano il nonnino e battendo le mani a ritmo di “tanti auguri a te” iniziano a cantare. Ne è uscito un coro davvero simpatico a cui anch’io non mi sono sottratta. In quel momento, con quegli estranei, mi sentivo integrata, a casa.
Sull’onda dell’allegria che ne era scaturita, c’è chi invita il nonno a cantare la sua canzone preferita. Si era svegliato dal mattino, hanno detto, con quelle note nella testa, e chi gli era accanto ha potuto apprezzarne il lieto risveglio.
È stato il momento più bello. Un tiepido stralcio della personalità di Michele è inaspettatamente balzato fuori da quel corpo stanco nel ricordo di “bandiera rossa la trionferà”. Erano i suoi valori intoccabili: il lavoro, la famiglia, il comunismo.
È o no una storia bellissima?

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