100 ANNI FA NASCEVA NICOLA CAMPANALE, IL “POETA CONTADINO” DI RUVO DI PUGLIA
Un bagaglio culturale di poesie vernacolari nate da esperienze personali, storia, tradizioni della nostra città tradotte in poesie vernacoli: è l’eredità che a noi ruvesi ha lasciato Nicola Campanale, noto a tutti come il “Poeta Contadino”, scomparso all’età di 87 anni.
Oggi ricorrono i 100 anni della sua nascita.
Nato il primo marzo del 1923, agricoltore, ha iniziato a lavorare nei campi sin dalla tenera età di undici anni. Proprio durante il duro lavoro maturano nella sua mente pensieri poetici tradotti in liriche, pubblicate su vari periodici, primo dei quali “Il Rubastino” (1971).
L’anno successivo collaborò alla realizzazione del volume “Sapienza Rubastina”, contenente proverbi in vernacolo e nel 1976 le sue liriche furono raccolte nel volume “Poesie Rubastine” molto apprezzato dalle autorità cittadine e dalla Pro Loco il cui presidente Ing. M. Carlucci scrive: “La vena poetica del Campanale è la più genuina e spontanea del genere, di per sé autoctona e irripetibile”.
Nel recitare le sue poesie in varie manifestazioni cittadine e regionali è sempre emersa una reale vena poetica. Ha partecipato a diversi concorsi tra cui il Concorso di poesia “Ponte Lama” organizzato dal circolo culturale pugliese di Milano; Concorso “Filippo Tripaldi” organizzato dall’Associazione Pro Loco di Manduria; Concorso provinciale di poesia “Città di Cassano” ed è stato inserito in una raccolta di liriche partecipanti ad un concorso bandito nel luglio 1980 dal Centro Regionale di educazione permanente. A questi concorsi si è presentato con lo pseudonimo di “Pone pièrse”.
Gli è stato infine conferito il riconoscimento “Premio internazionale Italo-Greco Ulisse, sezione lettere” con iscrizione al n.989/UL dell’ albo d’ oro internazionale.
E’ stato protagonista su ruvochannel.com della trasmissione “Michele Pellicani Show” nella quale vestiva i panni del Sindaco Contadino che in poesia provava a dare il suo contributo sulle varie tematiche.
Per non dimenticare o far cadere nel dimenticatoio tali poesie, ruvesi.it ne ripropone una, molto significativa dedicata al Corpo di Cristo!
U curpe de Criste
Se sciaje receriènne pe la spèighe
e mo ‘nnanze a le pìte s’accarre u stuzze.
A chisse skacchiatìdde l’omma fò capèje
ca l’attone nuste pe-d’adenò la spèighe
aune ‘nnarcote a nu custe.
E mo ca nan stome cchìue a chèr-a necessetò
ci scìètte pòne da ddà e ci sciètte pòne da ddò.
A le tìmbe nuste quanne sciaje la meddic-a ‘ndièrre
l’aviv-adenò, l’aviv-a vasò e te l’aviv-a mangiò.
E pò te sendive dèjsce: “E’ u curpe de Criste…
ce nan la vu adenò, quanne mure cu la lièngue l’ad-accarrò”.
E mò è uvère ca Gèse Criste n’av-abbennanziòte,
ma n’è ditte ca ind-u munne sìme tutte frote;
èje mo nan ve dèiche c’avit-adenò la spèighe,
ma almène nan-zìte accarranne u stuzze,
c-ajtòme chire ggiènde affamòte
ca è addavère ca ne so fròte.
Nicola Campanale
A.D. 1972
Il corpo di Cristo
In passato si andava in cerca della spiga
ed ora con i piedi si trascinano tozzi di pane.
A questi giovani d’oggi dobbiamo spiegare
che i nostri avi per spigolare
si sono ritrovati con la schiena curva.
E adesso che non ci troviamo in quelle ristrettezze
si getta pane da tutte le parti.
Ai nostri tempi quando cadeva a terra una briciola di pane,
la si raccoglieva, la si baciava e la si mangiava.
E ti sentivi dire: “E’ il corpo di Cristo…
se non la vuoi raccogliere, quando muori la trascinerai con la lingua”.
E’ vero che oggi viviamo nell’abbondanza,
ma il Signore ci ha detto che nel mondo siamo tutti fratelli;
perciò io non dico che bisogna raccogliere la spiga,
ma almeno non sciupiamo il superfluo,
così possiamo aiutare chi è nella necessità
poichè è veramente un nostro fratello.